La crescita delle destre nazionaliste ed i nuovi nemici dell’Europa.
Alla faccia di chi dice che l’Europa non ha radici comuni che l’attraversino, c’è un fenomeno che di questi tempi sta crescendo sempre più rumorosamente negli angoli più disparati del vecchio continente. In Finlandia come in Italia, in Francia come in Ungheria. Mentre nelle democrazie di mezzo mondo tanti partiti storici tremano dalle fondamenta, le destre europee ultra nazionaliste prosperano. E pensare che la Lega Nord sia uno dei tanti “segni particolari” del nostro Paese non è propriamente esatto. Gli spot anti-Europa, le “sparate” (fuor di metafora) sulla questione immigrazione, i continui colpi menati alle fondamenta di un governo di cui costituisce gran parte dello scheletro elettorale ogni volta che si parla dell’impegno italiano in missioni di guerra a carattere internazionale. Ma una forza che detiene l’11% almeno delle preferenze degli italiani è meglio averla come alleata scomoda ed invadente che come opposizione.
Alla luce di ciò, quello che è accaduto questo mese in Finlandia sa un po’ di dejà vu: alle elezioni crollano i centristi dell’uscente Mari Kiviniemi, mentre vincono di misura i conservatori della Coalizione nazionale con il 20,4%, tallonati dai Socialdemocratici (19,1%) e soprattutto dal partito dei “Veri Finnici”: un gruppo politico che raccoglie l’eredità del Partito Rurale, presentandosi con un programma dalla forte impronta anti-europea e xenofoba. Un balzo senza precedenti per la Finlandia, paese virtuoso che con l’UE ha sempre avuto ottimi rapporti, e che ora vede un movimento ultra nazionale a fare (a pieno titolo, peraltro) la voce grossa all’interno della nuova coalizione di governo guidata da Jyrki Katainen. Una forza politica in aperto contrasto con le manovre di aiuto ai paesi membri in difficoltà, tacciati come “scialacquatori”, che non manca di destare preoccupazioni a Bruxelles.
Altro caso di forte inflazione nazionalista, che non mancherà di avere ripercussioni anche dalle nostre parti, è quello francese. Qui, infatti, il “Front National” capitanato dalla carismatica leader Marine Le Pen ha già stracciato il partito del presidente Sarkozy alle elezioni amministrative, ed è data dai sondaggi come già qualificata al secondo turno delle elezioni politiche del 2012, indipendentemente da chi sia il suo avversario, con il 22% dei voti. In una Francia che sente forte la il peso della questione immigrazione e non sempre disposta a condividere la linea dura adottata da Sarkozy nella questione libica, la politica del “le français, avant tout” si sta mostrando vincente. Una leader che parla al cuore e alla pancia dei suoi elettori, cavalcando l’onda lunga delle paure che investono un popolo già di per se molto attaccato alla propria patria; tra le sue battaglie, quella per la reintroduzione della pena di morte. Per avere un’idea più chiara di quali siano le idee e le simpatie politiche delle Le Pen, basta ricordare un episodio: il 14 marzo scorso si è recata a Lampedusa in compagnia di Mario Borghezio (si, proprio lui), per andare a raccontare a migranti che hanno speso (e per poco non hanno perso) i risparmi di una vita in un viaggio della (di)speranza che in Europa non ce n’è per tutti.
A proposito di leghisti d’esportazione, il filone xenofobo sta attecchendo molto bene anche in Svizzera: un paese già di per se non molto aperto ai confinanti, che definisce “ratt” i molti italiani che vi si recano ogni giorno per lavoro dalla Lombardia e dal Piemonte. Qui, nel Canton Ticino, stravince con il 30% delle preferenze (più 8% in tre anni) la Lega dei Ticinesi. Un movimento politico che, per parola del leader Giuliano Bignasca, passa poche differenze con il Carroccio, con cui ha ottimi rapporti. Nel mirino della Lega ci sono i 48 mila frontalieri italiani che lavorano in Svizzera: primo obiettivo, ridurli a 35 mila in tre anni. Un tipo simpatico al pari dei suoi modelli padani: storicamente anti-europeo, nel ’93 viene “condannato dalla Corte di Lugano per aver impiegato una dozzina di operai jugoslavi senza permesso di lavoro”; passerà alla storia anche per la sua dichiarazione “troppi neri in nazionale” e per la taglia posta sugli autovelox (costatagli una condanna per “pubblica istigazione alla violenza e ingiuria”). E sulle euro-trattenute, in un’intervista per il blog beppegrillo.it, dice: “non rompetegli le palle sul segreto bancario, noi facciamo in modo che tutti quelli che hanno i soldi qua in Svizzera paghino ogni anno il 12,5% di tasse sui dividendi dei capitali”.
In Ungheria, invece, sta succedendo qualcosa di più complesso. Con quello che è stato definito un “putsch costituzionale” il primo ministro Viktor Orban, leader del partito Fidesz, ha visto l’approvazione del nuovo testo costituzionale che porta il suo nome. Una costituzione all’insegna del “Dio, Patria, Famiglia” di fascistissima memoria, ferma su posizioni ultra conservatrici su questioni come la fede e l’aborto. Istanze tanto retrive da suscitare l’attenzione di Amnesty International, che ha esortato l’Unione Europea a “garantire conformità” tra l’ordinamento ungherese e le “norme europee in materia di discriminazione”.
Non è facile interpretare un tale mutamento politico su scala tanto vasta. C’è però un’innegabile omogeneità nella crescita, in Europa, di movimenti nazionalistici che stanno gradualmente acquistando credibilità e peso politico, sia nei singoli stati che nell’intera Unione. Partiti che fanno leva sulle paure dell’europeo medio: un cittadino che per sua natura è votato a guardare alla sicurezza del domani, una sicurezza che ora più che mai vede vacillare, e che forse l’appartenenza ad una patria può ancora garantire. Poco importa se il tuo vicino di casa diventa il tuo primo nemico.