L’ Assassinio Delegato.
Per noi comuni mortali, cercare capire la logica del profitto è un po’ come cercare di capire la logica della guerra. C’è un obiettivo e, Machiavelli docet, il fine giustifica i mezzi. E l’unico obiettivo di un amministratore delegato è il profitto della sua azienda. Uno dei tanti mezzi per raggiungere questo scopo è il taglio delle spese. E per qualunque industria del mondo la sicurezza del propri dipendenti è una spesa. E se qualcosa va storto… Una sostanziosa busta alla vedova ed una condanna virtuale che non intacca minimamente il bilancio di chi fattura miliardi all’anno. E la vita, anzi la morte, continua.
Cosi doveva andare anche per il rogo in cui tre anni fa sette operai della Thyssenkrupp di Torino hanno trovato la morte. Travolti da un getto di olio bollente, avevano 26, 36, 43, 45 anni; avevano mogli e figli: storie ordinarie di persone che portano a casa la pagnotta prestando servizio in un’industria di cui non erano che un minuscolo tassello, sette dei 177.000 dipendenti che il colosso tedesco (cui la divisione Thyssenkrupp Acciai Speciali Terni dipende direttamente) ha sparsi per il mondo. Lavorare in un’azienda che fattura ogni anno 42 miliardi di euro può essere garanzia della propria incolumità?
La seconda sezione del tribunale di Torino, presieduta dal giudice Maria Iannibelli, ha emesso una sentenza che non è retorico dire farà giurisprudenza. Sposando in toto le richieste dei pm Guariniello, Longo e Traverso, ha accolto l’accusa di omicidio volontario con dolo eventuale per l’ad Thyssenkrupp AST Herald Espenhahn, condannato a 16 anni e 6 mesi di carcere, e di omicidio colposo con colpa cosciente per i dirigenti Marco Pucci, Gerald Priegnitz, il direttore dello stabilimento Raffaele Salerno e il responsabile sicurezza Cosimo Cafueri, condannati a 13 anni e 6 mesi; 10 anni e 10 mesi al dirigente Daniele Moroni.
La chiave di volta dell’impianto accusatorio sta in una mail di Espenhahn, in cui l’ad dichiarava il dirottamento di 800.000 euro, destinati al rinnovamento dell’impianto antincendio dello stabilimento di Torino, “from Turin to Terni”, nell’impianto in cui la linea dove lavoravano i sette operai sarebbe presto stata trasferita. Il dolo eventuale sta proprio nella consapevolezza da parte di Espehnahn che risparmiare su quell’investimento, tra l’altro fortemente voluto dalla compagnia assicuratrice dell’azienda sulla base di un incidente analogo avvenuto anni prima in Germania, avrebbe potuto costituire un rischio tangibile per l’incolumità degli operai Thyssen.
La Thyssen AST, chiamata in causa come responsabile civile, è stata inoltre condannata al pagamento di ingenti risarcimenti alle parti civili: un milione di euro al comune di Torino, 973 mila alla Regione, tra gli altri; e inoltre, saranno preclusi sussidi ed incentivi pubblici per sei mesi, cosi come la pubblicizzazione dei prodotti. Oltre alla confisca di euro 800.000, proprio il “prezzo del reato”. E’ inutile farsi illusioni: per aziende di questa portata, cifre del genere non pesano più di tanto. Cosi come non devono aver pesato molto i 12 milioni di euro messi a disposizione come risarcimento alle famiglie già un anno fa. L’ assurdo è pensare come 800.000 avrebbero potuto fare la differenza tra un incendio di modeste dimensioni ed una tragedia, avrebbero potuto fare la differenza nella vita di sette famiglie, ora segnata per sempre. La speranza è che da domani, sedendosi ai tavoli dei propri consigli di amministrazione, gli amministratori, di dirigenti, i responsabili d’impresa abbiano un peso in più cui dover fare fronte, oltre a quello dei propri azionisti.