Delitto Rostagno: armi, droga ed aerei, soldi e casseforti
Così la mafia gestiva i suoi affari e riciclava grazie al “sale” della Politica.
Non è siciliano e viene da molto lontano. Come era Mauro Rostagno, che non era siciliano e in Sicilia, prima Palermo, poi Trapani (in mezzo una parentesi in India, arancione prima di tornare qui, terapeuta a Saman e giornalista a Rtc) arrivò da Milano, lui che era nato a Torino e aveva studiato sociologia a Trento. Ma i loro percorsi pure se sono stati diversi alla fine si sono incrociati. Rostagno avrebbe scoperto un traffico di armi sulla pista di un aeroporto chiuso dal 1954,quello di Kinisia, oggi famoso perchè ospita la tendopoli dei clandestini; Francesco Elmo, l’altro di questa storia, «faccendiere»dei servizi segreti, di quel traffico si sarebbe in qualche modo occupato, prima di decidere di svelare molti particolari alla Procura di Trapani che nel 1996 riaprì le indagini sul delitto Rostagno, 26settembre 1988. Più si tenta nel processo in corso, e lo fanno le difese in modo legittimo, di portare il dibattimento lontano se non dalla mafia,quantomeno dagli imputati, che non sono certo «uomini d’onore»qualsiasi di Cosa nostra trapanese, Vincenzo Virga fu capo del mandamento di Trapani dal 1983 al 2001 quando fu arrestato dalla Polizia dopo sette anni di latitanza, l’altro è Vito Mazzara, valdericino, campione di tiro al volo e killer di fiducia di Virga quanto di Matteo Messina Denaro, l’attuale super latitante, quanto più il processo – si diceva – si vuole fare allontanare dagli scenari mafiosi, tanto più si sente un «tanfo» di morte, l’odore del sangue dei morti ammazzati e della violenza mafiosa. Ma non solo anche l’«odore dei soldi» che non manca mai nelle vicende mafiose trapanesi. Trapani non si deve dimenticare in quegli anni in cui uccisero Mauro Rostagno era la città forse d’Europa con il più alto numero di sportelli bancari e finanziarie, che regnavano in mezzo al degrado e alla povertà. Qui arrivava, e arriva, denaro, che produceva, e produce, ricchezza che serviva a produrre, oggi come ieri, altra povertà, dal bisogno la società in alcun modo non poteva, e non deve,sottrarsi, ordine dei «mammasantissima». L’indagine della Digos di Trapani condotta nel 1996 (la cosiddetta pista interna) non è vero che sia tutta da «buttare via». E lo ha detto a chiare l’ex capo della Digos Giovanni Pampillonia sentito nel processo. Non è un mistero che quando l’indagine cominciò a toccare determinati «santuari» e«affari», venne sentito il «faccendiere» Elmo, negli uffici della Digos, si dice, cominciarono a comparire strani personaggi, uomini dei servizi segreti che venivano a chiedere notizie con insistenza. E perchè? Difendevano la mafia? Oppure tutelavano «interessi non pronunciabili?». O tutte e due le cose insieme?Il «faccendiere» Elmo svelò questi affari. Dando anche nomi e cognomi. Oggi alcuni coperti ancora dal segreto. Politici? Forse di mezzo anche loro. Sennò mancherebbe l’elemento essenziale in tutta questa vicenda. Il “sale” per insaporire questa pietanza. Storicamente la mafia trapanese si è occupata di traffico di armi,Elmo a questo aggiunse una cosa importante e cioè che la sopravvivenza di questi traffici negli anni ’80 era frutto di un accordo di ferro tra mafia, massoneria e servizi deviati. Armi che arrivavano qui e ripartivano, il pentito Sinacori ha indicato due distinte occasioni in cui oltre alla cosca di Trapani fu coinvolta anche quella di Marsala. Solo armi? No. C’era anche la droga che seguiva la stessa rotta. Solo armi e droga? No, perchè ancora Elmo dice che sugli stessi percorsi«viaggiavano» rifiuti speciali e tossici da smaltire illecitamente. Solo armi, droga e rifiuti tossici? No, c’erano anche i soldi, quelli del grande riciclaggio internazionale. E in questo contesto compare il nome della Banca Sicula del senatore Antonio D’Alì, ex sottosegretario all’interno oggi presidente della commissione Ambiente del Senato. Elmo risultò essere un esperto, profondo conoscitore del sistema, il suo nome comparve per la prima volta proprio in una indagine su un caso di riciclaggio a grandi livelli. E sapete quale nome comparve pure agli atti d quell’indagine? Quello di Francesco Cardella, l’ex guru della Saman, amico di Rostagno, tanto da dargli del «pericoloso» un giorno non si è mai saputo bene il perchè. Cardella ai carabinieri andò a raccontare che Rostagno si era messo strane idee in testa, «voleva fare il senatore». Armi, droga, rifiuti e soldi. È possibile mettere tutto questo insieme senza la politica? Certo che no. Ed allora ecco che il nome di Cardella viene legato alla politica. Ne ha parlato lo stesso vice questore Pampillonia, indicando Cardella all’epoca era come parlare dei piani alti della politica nazionale, socialista in particolare. Bettino Craxi per intenderci. Tutti questi traffici avvenivano di nascosto? A leggere certi verbali no. Addirittura si parla di aerei con la droga che arrivavano negli anni ’80 con aerei militari a Birgi. Coperture non impossibili? Addirittura l’Aeronautica Militare rispondendo ad una richiesta della Digos, interessata a riscontrare le dichiarazioni di Elmo, in un primo momento disse che l’aeroporto militare di Kinisia non esisteva. E invece Rostagno su questa pista di Kinisia Rostagno avrebbe visto scendere un C130, una notte di quel 1988, quando la potente mafia e i suoi «soci» erano convinti che i loro intrecci nessuno li avrebbe mai scoperti. E invece quando questo è avvenuto si è mossa la mafia «ancestrale» quella dei Messina Denaro, perchè l’ordine di tutto è sempre passato per Castelvetrano, da quella casa dove si potevano un giorno contare i soldi da mandare presso casseforti estere, e un altro giorno si potevano ordinare delitti, come quello di Mauro Rostagno. Un ordine in quel caso che sarebbe stato dato a Viincenzo Virga, capo del mandamento di Trapani e a Vito Mazzara il killer della cosca, l’uomo che spesso seguiva Matteo Messina Denaro nelle sue razzie omicidiarie. C’è un verbale è fatto appena di una paginetta. Carta intestata dei Carabinieri di Trapani. La data è quella del 29 gennaio 1998. Nell’ex aeroporto militare di Kinisia in pieno giorno andarono a trovare un fucile calibro 12 marca Breda e una pistola calibro 38, matricola abrasa. I carabinieri erano arrivati lì, entrando in uno degli edifici diroccati di quel vecchio aeroporto avvertiti da una telefonata anonima. I militari scrivono: «In un complesso dell’aeroporto militare in disuso e completamente accessibile a chiunque, sito in Kinisia, appartenente all’Aeronautica Militare». È certo che era in disuso e diroccato, ma accessibile a tutti proprio no. Adesso per via della tendopoli è super sorvegliato, ma quando a Kinisia non c’era nulla, solo degrado, abbandono e squallore, non appena qualcuno vi faceva accesso, puntuale arrivava una pattuglia del nucleo dei carabinieri in servizio alla vicina base militare di Birgi. Altro che «facilmente accessibile». Qualcuno volle fare trovare quelle armi, mentre la Procura di Trapani stava indagando su Gladio. E il «faccendiere» Francesco Elmo aveva detto che quella base, chiusa dal 1954, serviva per fare esercitare i «gladiatori». Personaggio centrale di quell’inchiesta era Vincenzo Li Causi, ufficialmente maresciallo dell’Esercito, ma uomo del servizio segreto militare. Un sottufficiale che si muoveva da agente super segreto, che comandava nuclei specialistici, che per ordine di Craxi si occupava di dare manforte alle milizie peruviane, e che a Verona andò a liberare il generale Usa Dozier. Un maresciallo super attivo, tanto che forse quei gradi di maresciallo erano una copertura ulteriore, e che invece lui era un importante ufficiale dei nostri servizi. Ucciso nel 1993 in Somalia da fuoco amico, lui che sarebbe stato specializzato nel colpire senza essere visto. A Trapani guidava il centro di Gladio che doveva occuparsi del pericolo libico e l’unico rapporto presentato riguardò un traffico di droga dentro la Saman. Possibile che tutto questo passa per Trapani per caso? «Assolutamente no – dice un investigatore – basta ricordarsi che in questa provincia nei primi anni ’90 venne scoperta una rifornita santabarbara, un deposito di armamenti sofisticati che veniva tenuto sotto sorveglianza da due carabinieri, Bertotto e La Colla. Quest’ultimo ha patteggiato,l’altro è stato protetto dal segreto di stato». «La mafia trapanese – prosegue l’investigatore – è una mafia che vive dentro quest’acqua torbida, non è una scoperta di oggi, ma in quel 1988 c’era chi negava l’esistenza di Cosa nostra mentre invece la mafia andava diventando potente». Rostagno però fece capire che non ci sarebbe stato, anche se su questi intrighi avrebbe potuto incontrare personaggi a lui conosciuti. Divenne «pericoloso e inaffidabile» per questa ragione agli occhi dell’ex guru Cardella. La storia finisce qui? No manca un altro tassello ed è quasi contemporaneo. Riguarda un altro pezzo grosso dei servizi, il generale Angelo Chizzoni. La moglie di questi, una bella donna straniera, diplomatica presso una ambasciata svizzera, sarebbe stata l’amante di Rostagno, lei si dice gli fece scoprire gli atterraggi segreti a Kinisia. ma tutto è rimasto sospeso. Nè Chizzoni nè la moglie sono stati mai sentiti. Chizzoni è amico di capi di Stato, ha una villa a Valderice, “Paperelle” appena sopra il golfo di Bonagia, immersa in una pineta che copre la villa da occhi indiscreti. Qui fu ospite il presidente Cossiga, anche la figlia di Scalfaro venne a trovarlo. In epoca contemporanea fu presidente dell’Airgest, scelto dal sen. D’Alì allora presidente della Provincia, ma durò poco tempo alla guida della società, adesso preferisce occuparsi di arte, e a vivere in maniera oltremodo riservata a «Paparella», con tutti i suoi segreti..
[…] militare di Kinisia, all’epoca usato per il traffico d’armi [LiberaInformazione; Malitalia] e per l’addestramento degli agenti del “centro Scorpione”, unica base meridionale […]