Come un dopoguerra

Altro che isola svuotata in 48-60 ore. Lampedusa è ancora piena, 4 mila tunisini aspettano di essere imbarcati su navi che arrivano e ripartono vuote, ponti aerei annunciati e cancellati. Senza spiegazioni credibili, con un coordinamento delle operazioni da operetta.E i tunisini prigionieri sull’isola vivono esattamente come nei giorni passati. Dormono a terra, sul molo spazzato dal vento di maestrale,i più fortunati avvolti dalle coperte, quelli più sventurati con addosso i cartoni che raccattano nei bidoni della spazzatura. Chi non ha più un dinaro da cambiare, la maggior parte, mangia poco e male. Il “pane del governo” è scarso e fa pure schifo.Le condizioni di vita, denunciano Croce Rossa e Medici senza Frontiere, sono inaccettabili.E’ solo l’inizio del miracolo berlusconiano. E allora quest’altra storia della grande vergogna italiana va raccontata nei particolari. Iniziando dalle navi “fantasma”.

La “Clodia” e la “Watling Street” della T-link non sono riuscite ad attraccare al molo di Cala Pisana a causa del forte vento di maestrale. Sono ripartite vuote, la “Clodia” con a bordo 230 poliziotti, carabinieri e finanzieri, da ore sballottati dalle onde. Il vento, quindi,è la spiegazione ufficiale. Voci raccolte negli ambienti della marineria, però ci raccontano una cosa diversa. Il contratto firmato dalle due compagnie scadeva ieri, vista l’impossibilità di caricare a bordo i tunisini, i traghetti non hanno aspettato oltre e sono andate via. Intanto in rada ci sono altre due navi, “la Suprema” in grado di trasportare 2800 persone e la nave militare “San Marco”.. Con i suoi mezzi da sbarco potrebbe caricare 850 tunisini e può affrontare il mare in qualunque condizione. Ma è ferma lì, al largo. Inutilizzata

Andiamo a Cala Pisana e alcuni pescatori presenti  ridono quando gli parliamo del vento forte di maestrale.”Ma che minchia dicono, un bravo comandante riesce ad attraccare, la banchina è sottovento, al riparo, quindi si può fare.”.Andiamo a farci raccontare la storia del molo  di Cala Pisana (una piattaforma di cemento tra le rocce con gli attracchi, una strada di collegamento e nessun altro servizio), progettata nel 1977, vent’anni dopo è stata completata la prima banchina che però non è mai stata utilizzata perché i fondali erano troppo bassi per le navi grandi. La seconda è stata inaugurata sei mesi fa ed ha visto attraccare un solo traghetto. Costo complessivo dell’opera  3 milioni e 970 mila euro. Andiamo al molo, è ora di pranzo, ancora una volta, chiediamo ad un migrante tunisino di farci vedere il pasto distribuito da “Lampedusa accoglienza”: c’è un piatto di plastica con due-tre cucchiai di riso, due panini vuoti ed un litro e mezzo di acqua. Tutto molto al di sotto degli standard umanitari, denuncia  Medici senza frontiere. Ci spostiamo verso il centro abitato dell’isola al panificio “Spiga d’oro” .Centinaia di persone sono in fila per il pane. Come in un dopoguerra disgraziato. Ci sono due ingressi vigilati dai figli del proprietario. Da una parte entrano i lampedusani, dall’altra i tunisini. Per due euro comprano un filone di pane e una vaschetta di “ciaki”  (la chiamano così), una zuppa calda di verdure e “arisha” (una bomba piccantissima una sorta di ‘nduja tunisina). A suggerirla ai proprietari della rivendita, un profugo tunisino, un cuoco. Riempe la pancia e dà calore. Si mangia poco e male e ci si arrangia, mentre sul molo sono fermi i tir della Protezione civile di Siracusa che due giorni fa ha portato una cucina da campo capace di preparare mille pasti al giorno. “per montarla – ci dice un volontario- ci serve mezza giornata e da quel momento siamo operativi, ma nessuno ci dice cosa fare”. Ieri mattina abbiamo anche assistito alla distribuzione del kit per l’igiene: una bustina piccola di shampoo marca “glamour” (tipo quelle che si trovano negli alberghi) e una saponetta minuscola. Per lavarsi e fare i propri bisogni, i quasi 4 mila tunisini che vagano per il molo hnno 16 cessi e 2 cisterne d’acqua. Gli standard internazionali, denuncia Msf, che parla di “situazione inaccettabile”, fissano parametri precisi: un bagno ogni 20 persone e 20 litri d’acqua a testa. C’è pessimismo sull’isola, la serata è fredda, il vento di maestrale taglia la faccia.. In migliaia dormiranno ancora all’aperto. Anche i cento minori non censiti e non presenti nelle due strutture di accoglienza.  Save the Children li chiama “gli invisibili”, piccole anime in balia della notte. Ma sull’isola del miracolo berlusconiano che non c’è, fortunatamente, vive un’ottimista, è il sindaco Dino De Rubeis. “Domani (oggi per chi legge -ndr) se Dio vuole e si calma il vento l’isola si svuota. Berlusconi è un uomo del fare. C’è solo un problema, la casa che aveva visto non gli piace, troppo vicina alla pista dell’aeroporto. Sa, il rumore. Ma noi abbiamo trovato una soluzione.” Il signor sindaco è persona gentile assai, vede che siamo in ansia e ci dà subito la notizia. “Sull’isola c’è un’altra casa, è appartenuta ad un console, la villa è grande, in zona isolata e tranquilla. E’ nella zona di Mare Morto. Stasera chiamo il Presidente  e gli do la buona novella. E’ sera, Berlusconi può stare sereno, a Lampedusa dormirà tranquillo e senza fastidiosi rumori. Intanto al molo migliaia di tunisini preparano i loro giacigli di cartone.

(pubblicato su Il Fatto Quotidiano.it)