In fuga da Il Cairo in fiamme

(di Nicola Lillo)
«Un clima da guerriglia spaventoso. Una tensione continua. Non sono stata fortunata, di più».
Adriana Torregrossa, 47 anni, ci racconta i giorni tumultuosi vissuti al Cairo dalla sua terra d’origine, la Sicilia. È infatti a Catania, dove vive la sua famiglia.
Professoressa di Storia dell’Arte, residente a Bologna dal 1985, ha insegnato al Liceo Righi, al Copernico ed anche a Porretta Terme. Ventisei anni in città, intervallati da alcuni periodi di insegnamento fuori dall’Italia: in Marocco, ad Addis Abeba in Etiopia e in Egitto, prima ad Alessandria e quest’anno proprio al Cairo.

Il 27 gennaio la scuola italiana in cui insegna decide di chiudere. È una scuola paritaria la Leonardo da Vinci; comprende classi dalla materna al liceo. Tanti gli studenti, italiani e italo-egiziani.
Gli scontri nelle strade del Cairo, la guerriglia urbana non permettevano di continuare le lezioni.

Adriana vive a duecento metri da piazza Tahrir, il vero fulcro della protesta e degli scontri che si fanno sempre più frequenti e violenti, con morti e feriti. «Ho visto i carri armati entrare in città, i lacrimogeni e ho sentito gli spari. Ho vissuto una pagina di storia nelle peggiori situazioni. Stavo chiusa in casa, la tentazione di uscire c’era, ma la paura era troppa».

Situazioni pericolose potevano verificarsi in qualunque circostanza. E girare per le strade della città non era certo un’ottima idea. Il rischio era di venire derubati di tutto. E come fuggire allora da una città in subbuglio? «Ho chiesto aiuto più volte all’Ambasciata. Mi rispondevano dicendo che non potevano venire a prendermi, quello non era il loro compito. “Dovete venire da soli” dicevano, ma era impossibile».

È stato il papà di una sua alunna a darle un aiuto. Un maresciallo dei Carabinieri che lavora all’Ambasciata, ma che ha agito «a livello personale e privato» specifica la professoressa. Il maresciallo, infatti, avrebbe parlato con il portiere dello stabile in cui Adriana viveva, indicando di accompagnarla in Ambasciata lungo precise strade, quelle dove era facile evitare i fermi.
«Quando sono arrivata a destinazione il carabiniere ha chiamato un tassista che conosceva. Al Cairo, infatti, ora non c’è che l’anarchia ed è pericoloso affidarsi a persone ignote. Sono così riuscita ad arrivare in aeroporto, che dista un’ora dalla città».

«Sembrava un accampamento, con persone da tutto il mondo. Una sorta di campo profughi, con un tendone dove vendevano acqua e cibo». Dopo 24 ore, il 4 febbraio, finalmente il volo che aveva prenotato la ha riportata a casa.
Adesso Adriana si gode la vicinanza dei parenti, in attesa però della chiamata dalla scuola Leonardo da Vinci, pronta a ripartire per continuare il suo lavoro.

(pubblicato su Il Resto del Carlino il 14 febbraio 2011)