Campania chiama Ue: abbiamo (quasi) il piano rifiuti
(di Alessandro Chetta)
E’ ancora una bozza, la terza, ma lascia intravedere le intenzioni della Regione Campania in materia di rifiuti. L’Unione europea la attende con impazienza, ché di pazienza coi campani ne ha già avuta troppa. Il documento che il commissario Janez Potocnik s’è visto recapitare il 14 febbraio prevede 3 punti fondamentali: spingere sulla differenziata, realizzazione di altri tre termovalorizzatori, trasformazione degli Stir, gli impianti di tritovagliatura, in siti di digestione anaerobica, ovvero l’eco-procedimento per il trattamento della frazione umida da sempre caldeggiato dai vari comitati per l’ambiente sorti in regione e che solo fino a qualche tempo fa veniva minimizzato, visto come fumo negli occhi dai gestori del ciclo dello smaltimento e puntualmente accantonato.
L’assessore regionale all’ambiente Giovanni Romano ha sottolineato che il documento è solo una preview della proposta ufficiale: come a dire, cara Ue vedi se siamo sulla strada giusta.
La questione scotta, le crisi della monnezza si susseguono a scadenze quasi fisse (se si blocca un impianto o si ferma per la sosta domenicale i sacchetti si accumulano in strada un secondo dopo) e un piano strutturale in Campania ancora non c’è, visto che il decreto firmato dal governo lancia solo le linee guida.
Dunque, tirando le somme, la Regione vuol puntare sulla raccolta differenziata. In sostanza la giunta Caldoro vuol tentare di strappare la maglia rosa della differenziata provando a raggiungere la quota – stratosferica allo stato – del 50 per cento (o ultimi in classifica in Italia o straprimi, tertium non datur). Ma tra il dire e il fare. E’ chiaro che se ci sono 50 comuni “ricicloni” ma non si smuove Napoli l’asticella non salirà mai. In tal senso, l’ad dell’Asìa, Daniele Fortini, ha in settimana illustrato il lancio del “porta a porta” a Scampia e nel rione Lieti. “Con l’apporto di queste zone porteremo la quota di differenziata in città dal 19 al 23%, meglio di Roma e Venezia”. Sarà. E’ pur vero che nei 7 quartieri-pilota (Bagnoli e Colli Aminei su tutti) i dati del riciclo sono confortanti. Peccato che di piani e “lanci” della differenziata i napoletani ne abbiano visti parecchi in questi anni. Tanto che alcuni giorni fa gli attivisti del Rete Commons hanno occupato la sede centrale dell’Asìa, municipalizzata addetta alla raccolta rifiuti, in via Scarfoglio, dopo che la trasmissione di Rai 3 “Presa Diretta” ha svelato l’esistenza, da anni, di un piano che avrebbe garantito al capoluogo campano un notevole balzo in avanti sul fronte della raccolta differenziata, se non la soluzione al problema. “Messo nero su bianco e poi svanito, colpevolmente mai utilizzato” puntano il dito gli attivisti. Che rimarcano anche il prevalere della logica dell’incenerimento in qualche modo avvalorata, anzi certamente perseguita dalla Regione (sulla scorta del famoso decreto del consiglio dei ministri a Napoli del 2008), che nella bozza spedita a Potocnik parla della necessità di nuovi termovalorizzatori, oltre ad Acerra. E cioè: Napoli est, Caserta, Salerno.
E infine gli Stir, gli ex famigerati impianti Cdr della Fibe/Impregilo disseminati in tutte le province (Casalduni, Battipaglia, Caivano, Tufino, Giugliano, Pianodardine, Santa Maria Capua Vetere): siti per 8 anni hanno appallottolato ecoballe che in realtà, ha appurato la magistratura, erano praticamente rifiuti non trattati. Monnezza che ora giace sottoforma di nauseabonde piramidi a Villa Literno e nel Giuglianese (7 milioni di tonnellate). Ecco: la bozza prevede in maniera forse un po’ ambiziosa di riconvertire gli Stir in impianti per la trasformazione delle (eco)balle in cdr (combustibile da rifiuti) di qualità, cioè smaltibile in solo otto anni e non nei venti previsti.
La commissione Ue resta preoccupata. Gliene abbiamo fatte troppe. Così, per dire solo dell’ultima, il primo febbraio la rappresentanza italiana presso l’Unione europea ha scritto alla Regione Campania mettendola in guardia: “Bisogna effettuare da subito tutte le misure per superare la crisi” a meno che non si voglia rischiare un nuovo, ennesimo, richiamo, dopo la procedura d’infrazione contestata nel 2007 all’Italia.