Attilio Manca, i misteri di una morte
(di Francesco Perrella)
Per quanto possa risultare difficile crederlo, anche i capi mafia sono uomini, e dei comuni mortali condividono le debolezze del fisico. Cosi può capitare che alla veneranda età di 73 anche al capo dei capi Bernardo Provenzano, latitante dal lontano 1963, venga diagnosticato qualche problema alla prostata. Non come togliere una pallottola dal braccio di un picciotto, qui servono strutture e medici. E infatti zu’ Binnu decide di farsi operare in una clinica di Marsiglia, cui si reca dal 7 al 10 luglio 2003 per esami e radiografie ed a metà ottobre dello stesso anno per l’intervento, facendosi passare per tale Gaspare Troia, panettiere di Villalbate (Pa). E’ cosi che un super ricercato entra ed esce dall’Italia e, a quanto pare, si fa anche rimborsare l’intervento dalla Regione. E viene spontaneo chiedersi: e i medici che hanno assistito il boss durante la degenza? Mistero.
E’ il 12 febbraio di sette anni fa, quando Attilio Manca, trentacinquenne urologo presso l’ospedale Belcolle di Viterbo, viene ritrovato morto nel suo appartamento. Disteso sul letto in un lago di sangue, il volto tumefatto e due fori sul braccio sinistro. Nella sua abitazione vengono ritrovate due siringhe, e diversi farmaci. Dall’autopsia emerge come il decesso sia dovuto ad una miscela di droghe, tranquillanti ed alcol, e che sia avvenuto nella notte a cavallo tra l’11 ed il 12 febbraio. La morte di Attilio Manca viene subito classificata come suicidio, il suicidio di un uomo che sceglie di uccidersi in un modo che deve essere per lui molto familiare. La Procura fa quindi richiesta di archiviazione. Tutto però appare molto strano. E’ strano che un uomo giovane ed affascinante, un professionista di successo tra i migliori nel suo campo, pieno di amici e di donne, decida di andarsene proprio sul più bello. Certo è strano che avesse lasciato la casa in perfetto ordine e gli attrezzi del suo mestiere, pinze ago e filo, sparpagliati sulla scrivania. Certo è strano che un mancino puro riesca ad ammazzarsi usando la mano destra. Eppure viene dato per suicida, e per giunta anche tossicomane. Attilio nasce del 1969 a San Donà di Piave, e nel 1974 il padre, insegnante, decide di ritornare alla città natale, Barcellona Pozzo di Gotto, provincia di Messina. Studente brillante, si laurea con il massimo dei voti alla Cattolica di Roma, dove si specializza in urologia. Nel 1999 si reca a Parigi, dove trascorrerà un anno per seguire uno stage sulle nuove tecniche di ‘intervento di prostatectomia radicale per via laparoscopica. Un’ esperienza che gli consente di apprendere tecniche allora innovative e non ancora diffuse nel nostro paese, tant’è che nel marzo del 2001 esegue al policlinico Gemelli di Roma il primo intervento prostatectomia radicale per via laparoscopica in Italia assieme al dott. Ronzoni, suo mentore professionale. E’ un uomo di successo, il giovane dottor Manca: tiene corsi di specializzazione, partecipa a conferenze in Italia e Francia. Nel novembre 2002 inizia la sua carriera di chirurgo presso il Belcolle di Viterbo. Fino a quel maledetto giorno di febbraio. Dal primo momento i familiari non possono condividere la tesi del suicidio.Al di là del coinvolgimento psicologico dei suoi cari, iniziano ad emergere troppi punti oscuri in questa morte. Punti che, ricostruiti dal penalista Fabio Repici, portano nel 2006 il Gip di Viterbo, Gaetano Mautone, a riaprire il caso. Per gli inquirenti le ventiquattro ore precendenti la morte di Attilio Manca restano tutt’ora un buco nero. Dalla sera del 10 febbraio infatti, il dottore non si fa più vedere da nessuno: disdice all’ultimo momento una cena con alcuni colleghi, e l’ 11 febbraio non si presenta ad un appuntamento fissato a Roma con il dott. Ronzoni. Il 12 febbraio, poche ore prima di morire, Attilio chiama i suoi genitori chiedendo esplicitamente alla madre di far riparare con urgenza una moto che tiene parcheggiata in un garage nel paesino di Tonnarella. Una richiesta che alla madre sembra del tutto assurda, visto che il figlio sarebbe tornato in Sicilia solo l’estate successiva. C’è solo la testimonianza di un vicino, che afferma di aver sentito chiudere la porta di casa del dott. Manca verso le 22.15 del 12 febbraio. Altro punto oscuro l’esame dattiloscopico eseguito nell’appartamento dell’urologo. Alcune delle impronte, ritrovate su una piastrella del bagno, risultano appartenere al cugino di Attilio, Ugo Manca, pregiudicato e frequentatore di altri personaggi di interesse investigativo. Che si giustifica affermando che quelle impronte poteva averle lasciate solo il 15 dicembre, in visita presso il cugino. Un’affermazione che mamma Angelina trova inconsistente: nei giorni precedenti al Natale, infatti, Attilio aveva ospitato i suoi genitori e sua madre, com’è ovvio che sia per la madre di uno scapolo, si era prodigata per sistemare a fondo la casa di suo figlio. Come hanno fatto allora quelle impronte a resistere, peraltro in un ambiente umido come il bagno? E perchè Ugo Manca tenta, il 13 febbraio, di entrare nell’appartamento di Attilio, e di fare pressione per il rapido dissequestro della sua salma? Resta poi da accertare le ragioni del contatto che Attilio Manca ebbe con tale Angelo Porcino, oggi in carcere per tentata estorsione con aggravante mafiosa, che sarebbe dovuto andarlo a trovare a Viterbo per un consulto. L’aspetto più inquietante di tutta la vicenda, però, resta una coincidenza che la signora Angelina non riesce a considerare una casualità. Nell’autunno del 2003 Attilio parte per la Francia, un viaggio che resta ignoto ai suoi colleghi; come spiegherà ai suoi genitori, deve assistere ad un intervento chirurgico. E nell’ottobre 2003, Bernardo Provenzano si opera alla prostata a Marsiglia.Le indagini sulla morte del dottor Manca sono ancora in corso. Nel marzo 2007 vengono emessi dieci avvisi di garanzia (tra gli indagati figura anche Ugo Manca) e disposto un incidente probatorio, a conclusione del quale le carte sono state riconsegnate al pm Renzo Petruselli.
Chissà se la moto di Attilio Manca è ancora nel garage di Tonnarella. Un paesino di novecento anime, il luogo in cui un anziano signore si spostava indisturbato su una Polo scura. Come disse la sorella del boss Bisignano, “anche le panchine sapevano che lui era qui”. Lui, Bernardo Provenzano.