Un buon proposito per l’anno nuovo: lavorare per vivere, non per morire.

di francescomarchi.it

(di Francesco Perrella)
L’altro giorno aspettavo il treno in una grande stazione italiana, e sono stato colpito dai grandi cartelloni di una campagna promossa dal Ministero del Lavoro in tema di morti sul lavoro. Campagna curiosa, o almeno cosi mi è sembrata: c’è un operaio, un agricoltore, un autotrasportatore, un imprenditore fotografati in un momento felice della loro ipotetica e stereotipata esistenza, e sotto il monito “non lasciare che sia solo un ricordo”. Come se la sorte di un lavoratore dipendente, la sua sicurezza e la sua incolumità dipendessero da se stesso. Quanto si parla di infortuni sul lavoro! Morti bianche è il nome da copertina. Morti, invalidi, infortunati, nomi, facce e storie che affollano i nostri TG e di cui ci dimentichiamo subito.

Ce le buttano li quasi come un tappabuchi, o almeno questa è l’impressione che ho nella stragrande maggioranza dei casi. Si parla nei giornali, si promette nei comizi. Buoni propositi per l’anno nuovo, da parte di un governo che vuole sconfiggere finanche in cancro. Eppure arrivati a fine anno si aggiustano le somme e si tira una riga, ed il bilancio è impietoso. 1080 decessi nell’anno 2010, come segnalato dal blog di Caduti sul lavoro, un dato sostanzialmente costante da anni. A cui vanno aggiunti i circa 25 mila lavoratori rimasti invalidi, che difficilmente potranno ricollocarsi nel loro ramo lavorativo d’origine. Dati pur sempre indicativi e sottostimati, perchè non tengono conto (e non potrebbero fare altrimenti) degli incidenti che coinvolgono lavoratori in nero, e quelli che denunciano l’infortunio come malattia, temendo ritorsioni. Altro conto della massaia presto fatto: 26 mila famiglie non hanno più un reddito o possono contare ora su un’entrata fortemente ridotta, in media quattro componenti per nucleo familiare sono 100 mila persone che, in un anno, hanno perso la speranza di tirare avanti. Un dato freddo, che ignora i drammi umani che si nascondono sempre dietro alle cifre, ma rivelatore di una realtà difficile e, spesso e volentieri, molto scomoda. Si potrebbe obiettare che, se il dato non aumenta, “nessuna nuova, buona nuova”, eppure i margini di miglioramento ci sono, e sono amplissimi.

Prendiamo ad esempio il decreto correttivo al Testo Unico per la Sicurezza sul Lavoro (Dlgs 81/08) emanato dal Governo il 3 agosto 2009, che modifica radicalmente il testo elaborato dal Governo Prodi alleggerendo sostanzialmente le sanzioni a carico del datori di lavoro e andando a tagliare sul personale incaricato dei controlli. Le Asl possono contare su un personale di circa 1800 tecnici di prevenzione, le aziende italiane più o meno 6 milioni: in media la singola impresa dovrebbe ricevere un’ispezione ogni 33 anni. Ci sono imprenditori, quindi, che non sanno neppure come sia fatto un ispettore della Asl. Eppure, il buonsenso (e l’esperienza) ci suggerisce come l’unica via per ridurre drasticamente gli incidenti sta nel puntare proprio ai datori di lavoro in maniera capillare, attraverso un sistema di monitoraggio da parte della Asl territoriali, e sanzioni severe per chi trasgredisce le norme in materia di sicurezza. Questi gli unici due deterrenti, non si più delegare il compito ad una campagna pubblicitaria.

Come riferito dal blog di Articolo21, a Gennaio 2011 verrà proposto all’Esecutivo della Commissione Europea, l’apertura una procedura d’infrazione contro l’Italia (una in più, una in meno…), per la mancata conformità delle misure di recepimento italiane in relazione a certe disposizioni della direttiva europea 89/391/CEE sulla sicurezza sul lavoro, tra cui deresponsabilizzazione del datore di lavoro (articolo 5 direttiva), posticipazione dell’obbligo di valutazione del rischio di stress legato al lavoro (articolo 6, paragrafo 3, punto a), proroga dei termini impartiti per la redazione del documento di valutazione dei rischi per una nuova impresa o per modifiche sostanziali apportate ad un impresa esistente (articolo 9, paragrafo 1, punto a).