Ragazze di strada
Col freddo o con la pioggia. Con la neve o la nebbia. Qualunque sia la condizione meteorologica della serata le ragazze di strada sono sempre lì, sul marciapiede ad offrire il loro giovane corpo a quelli che chiamano “i clienti”. Tremano e saltellando cercano di allontanare il freddo pungente della notte bolognese.
A Bologna c’è un’associazione di volontariato che quattro sere a settimana si preoccupa di queste giovani donne abbandonate a loro stesse. È il gruppo dell’”Albero di Cirene”, una Onlus di volontariato che ha la sede nella parrocchia Sant’Antonio di Savena in via Massarenti. Il progetto è stato denominato “Non sei sola”, ed ha come obiettivo l’aiuto alle ragazze di strada.
Elena, da due anni nel gruppo dei volontari, racconta che “le ragazze si sentono solo chiedere: quanti soldi vuoi? Noi, invece, cerchiamo di umanizzare il rapporto, chiediamo il loro nome, come stanno, se hanno bisogno di qualsiasi cosa”.
Bologna presenta infatti una forte concentrazione di queste ragazze, la maggior parte delle quali è vittima della tratta internazionale degli esseri umani. Sulle strade delle città italiane si vedono sia giovani dell’est Europa, rumene, albanesi ed ucraine, sia africane, soprattutto nigeriane. I ragazzi della parrocchia di don Mario Zacchini cercano di restituire dignità umana, negata dagli sfruttatori e dai clienti, offrendo aiuto ai loro bisogni e sensibilizzando l’opinione pubblica.
Piccoli gruppi di volontari escono quattro giorni a settimana in strada per incontrare le ragazze; instaurano un rapporto di fiducia, le ascoltano, offrono loro latte caldo, tè, caffè e biscotti. Pregano in inglese e cantano canzoni. Ormai si conoscono per nome. È da molti anni che portano avanti queste relazioni.
“Le ragazze rumene, ucraine e albanesi – racconta Riccardo, da 5 anni fra i volontari e uno dei coordinatori del gruppo – sono sempre controllate da alcune macchine; è più difficile instaurare un rapporto con loro”. Differente la situazione per le nigeriane. “Queste giovani donne sono assoggettate alla loro “madame”. Arrivano in Italia nei barconi o alcune volte in aereo, grazie alla mafia nigeriana che procura i documenti e si occupa di tutti i trasporti. Arrivate nelle città cui sono destinate, poi, la “madame” inizia a controllarle, ma sempre a distanza”. Chi è la madame? “A volte capita che sia una vecchia prostituta, che ripropone il modello di sfruttamento a cui era stata sottoposta”.
Solitamente dopo quattro o cinque anni le ragazze riescono a liberarsi dal vincolo che hanno con la “madame”. Un debito che va dai 60 ai 70 mila euro. Con i soldi guadagnati, però, oltre a dover pagare il loro “capo”, dovranno anche occuparsi delle spese per il cibo, per i vestiti, i trasporti, l’affitto ed anche il marciapiede, che chiamano “joint”, dal quale non possono spostarsi, altrimenti andrebbero nel territorio di un’altra ragazza, rischiando le botte. Il marciapiede è in mano alle organizzazioni malavitose, che impongono un dazio sulla zona in cui ogni sera attendono i loro clienti.
Raggiunta la somma richiesta dalla “madame” sono finalmente libere. Ma non di vera libertà si tratta. Le giovani, infatti, conoscono poco la lingua, non sanno come muoversi in città, se non per spostarsi da casa al proprio marciapiede. Inoltre molte di loro abitano fuori Bologna: Casalecchio, Castelfranco, Parma, Ferrara o anche a Verona, Padova, Rovigo. Ogni giorno prendono il treno, arrivano in città, si fanno portare sul loro marciapiede da quelli che chiamano i “papagiri”, clienti che fanno anche da autisti, e a notte inoltrata ritornano in stazione per andare verso casa. Persa questa routine si sentono spaesate. Senza documenti, il più delle volte, sono costrette a continuare ad andare in strada. O in altri casi si trasformano esse stesse in “madame”. “Dicono tutte di avere ventun’ anni – ci confessa Elena – ma in realtà vanno forse dai 16 ai 27, o anche più”.
Perchè non fuggono da questa situazione? Perchè non si affidano al gruppo di volontari, alle case di accoglienza, per un vero inserimento nella società? “Non è per nulla facile – continua Elena – portarle via dalla strada. È soprattutto una questione religiosa. Le ragazze sono assoggettate alla “madame” anche attraverso un rito voodoo, una sorta di magia, un rito che se non viene rispettato porta malocchio, sfortuna. Incredibile, ma vero”.