Castelvetrano, la città della mafia e non dei mafiosi
Castelvetrano non è la città della mafia, è la città del boss latitante Matteo Messina Denaro. Castelvetrano non è la città dei mafiosi, è la città dove sono stati arrestati alcuni mafiosi. Castelvetrano è una delle prime città dove è nata l’associazione Libera, ma dove le indagini, e sentenze passate in giudicato, hanno dimostrato il consolidarsi di alleanze pericolose tra la politica, la mafia e l’imprenditoria, è la città dove veniva tenuto nascosto il tesoro di Totò u curtu, Totò Riina, dove Bernardo Provenzano, guidando la sua 500 arrivava fin qui da Corleone per vedersi con don Ciccio Messina Denaro. Provenzano era già latitante, ma non aveva problemi di muoversi, non ne ha avuti per oltre 40 anni facendo il “fantasma” per le strade della Sicilia. Castelvetrano è la città dove i bagheresi della famiglia Guttadauro sono venuti a impiantarsi grazie al rapporto di parentela stretto con i Messina Denaro, Filippo, fratello del medico Giuseppe ha sposato Rosalia, figlia e sorella di Francesco e Matteo Messina Denaro.
Castelvetrano è la città dove un sindaco, Vito Lipari, nel 1980 è stato ammazzato alla vigilia del suo ingresso in Parlamento, e di un altro sindaco, Tonino Vaccarino, che è finito in carcere per mafia e droga, è stato condannato per traffico di droga, ed è poi diventato informatore dei servizi segreti, segreto corrispondente del boss latitante Matteo Messina Denaro, lui che con i servizi segreti pare avesse una certa affinità sin dal dopoguerra al tempo in cui, erano gli anni ’50, lo Stato cercava un accordo col bandito Giuliano, ma era tutto un trucco per ammazzarlo e toglierlo di mezzo, così da mettere a tacere i segreti che poteva conoscere su quella che fu la prima trattativa tra Stato e organizzazioni criminali del dopoguerra. Castelvetrano è la città del re del commercio, Giuseppe Grigoli, che per nulla preoccupato delle regole del pizzo che gli furono spiegate, così ha detto ai giudici che lo stanno processando, dal suo migliore amico, Filippo Guttadauro, ha scalato il mondo del commercio arrivando ad aprire impiegando pochissimi mesi uno dei più grossi centri commerciali del trapanese.
Castelvetrano è la città dei complici di Matteo Messina Denaro, quelli che parlano del boss tradendo una sorta di adorazione, devozione, non ci guadagnano nulla e forse non hanno nemmeno alcun salvacondotto a non pagare, e però dicono “u siccu va adorato”, “u siccu” è lui Matteo Messina Denaro, così lo chiamano, ma anche “olio” o “testa dell’acqua”, mentre l’iconografia giornalistiche che rischia stupidamente di farne ancora più un eroe lo ha soprannominato “Diabolik”, mentre lui nei pizzini di firma Alessio e racconta di sentirsi un perseguitato e attacca i magistrati che indagano su di lui dando loro, nei pizzini che scrive, dei Torquemada da strapazzo.
Castelvetrano è la città dove in pochi anni è cresciuta la solidarietà per gli ultimi, per gli extracomunitari, ma anche quella dove per decenni ai tavoli da poker sedevano personaggi destinati a fare carriere diverse, chi politico, chi killer di mafia. Castelvetrano è la città dove Libera ha intestato la sua sede ai fratellini Asta, uccisi nell’attentato di Pizzolungo insieme alla loro mamma, e Castelvetrano è la città dove si fanno i cortei per la legalità col divieto di pronunziare la parola mafia. Castelvetrano è la città dei divieti che colpiscono i giovani, come a partecipare ad un incontro con un ex collaboratore di giustizia. E questo è il divieto che fa più male perché arriva da uno degli educatori più noti della città, il prof. Francesco Fiordaliso, che forse si è troppo arrabbiato perché magari in altre occasioni sue iniziative altrettanto importanti non hanno avuto quella ribalta che veniva adesso concessa all’ex pentito Calcara.
Castelvetrano è la città dove un consigliere comunale per essersi pubblicamente augurato della veloce cattura del boss latitante Matteo Messina Denaro si è visto bruciare la casa, ma si è visto anche isolato, dal suo stesso partito, il Pd, e poi dal resto del contesto politico. Quella sua dichiarazione fatta in Consiglio comunale rimase pericolosamente isolata, e i mafiosi amici del boss ne approfittarono. Castelvetrano è la città dove un ex consigliere comunale, marito di un ex assessore, Giovanni Risalvato, faceva politica e incontrava Messina Denaro, lui, come il prof. Vito Signorello, ex allenatore della Folgore, si lamentava di non potere stare a sufficienza con il latitante, Matteo diceva loro che erano più utili stando a Castelvetrano e non stando con lui, “mi potete aiutare più da lì”. Castelvetrano è la città dove la crescita imprenditoriale è avvenuta per una parte all’ombra del boss, e con le fatture false, truffando la legge 488.
Castelvetrano è tutto questo ma per arrivare a scrivere queste cose sono serviti decenni, perché fino a pochi anni addietro parlare di mafia a Castelvetrano si finiva col sollevare irate reazioni, prese di posizione risentite, mentre in città andava a venire il governatore Cuffaro, quello che diceva che la mafia faceva schifo, ma solo dopo essere finito sotto processo.
E’ di questi giorni la forte polemica per il convegno disertato al Selinuns dove, organizzato dall’associazione antiracket, erano presenti il procuratore aggiunto della Dda Antonio Ingroia e l’ex pentito Vincenzo Calcara. Questi aveva espresso la voglia di parlare ai giovani suoi concittadini, Ingroia voleva sottolineare i passaggi di una magistratura che aveva aiutato la città a risvegliarsi e a crescere senza avere più come riferimento la mafia. Ma come è andata a finire è cosa nota. Come se fosse stata la prima volta. Ma non era la prima volta. Tanti altri convegni si sono svolti con le presenze di soli addetti ai lavori, con pochi giovani, eccezion fatta quando Castelvetrano fu attraversata dalla carovana antimafia di Libera, allora si che si videro tanti giovani e pochi adulti, pochissimi politici, la carovana non garantiva alcuna passerella e così i politici sono stati lontani. Cosa voglio dire? Voglio dire che occasioni per indicare le contraddizioni della città ce ne sono state diverse nel tempo, ma ogni volta che si è provato a farlo ci si è trovati tanti contro, il sindaco Pompeo a interpretare ogni cosa come un attacco alla città, ma alcuna autocritica. Eppure Castelvetrano per avere consapevolezza di tutto quello che di brutto l’ha invasa ci ha impiegato decenni e forse di più. Oggi a Marsala si processano Matteo Messina Denaro e Giuseppe Grigoli, ma c’è una sola parte civile costituita l’associazione antiracket di Trapani, Castelvetrano fa parte dell’associazione antiracket, ma siamo in attesa che il Comune si faccia promotore di un incontro, uno è fissato per il 16 febbraio, Pompeo ha già deciso, la sala sarà piena di giovani. E la sensazione è quella ch ancora una volta sono giovani che pagano un prezzo, obbligati a non andare in una occasione, obbligati ad andare in un’altra, e la libertà che fine ha fatto?
Due cose sul convegno disertato vanno dette. Calcara da una parte e Vaccarino dall’altra se ne sono dette di tutti i colori. Irrispettosi di un luogo pubblico, quando invece stando insieme dentro un’aula di giustizia si sono guardati bene dall’affrontarsi in malo modo. Anche nel luogo del Teatro avrebbero dovuto mantenere un atteggiamento di rispetto nei confronti dei presenti. Non rappresentano dei modelli, ognuno ha delle storie da raccontare, e però debbono lasciare agli altri decidere se le loro possano essere storie esaltanti. Calcara è frutto di quella stagione dei pentiti dove però accadeva che alcuni venivano indottrinati dagli investigatori, erano a conoscenza di alcuni fatti, ma non completamente, quello era l’unico modo per incrinare il fronte mafioso. Presto le sue confessioni sono state surclassate dalle confessioni dl altri uomini d’onore, quelli che hanno raccontato le stagioni delle stragi, degli accordi con la politica e l’impresa.. Vaccarino resta il simbolo degli equivoci, lui dà spiegazioni a questi suoi comportamenti, parla di servizi segreti con i quali anche da giovane aveva a che fare, di una condanna ingiusta che lo ha portato a sfidare segretamente la mafia che lo ha rovinato, parla bene di Borsellino e però racconta che il suo arresto nel 1992 scattò per avere sparlato del lavoro del magistrato che su di lui si ricredette alla vigilia del quel 19 luglio 1992.
Parlava con Matteo Messina Denaro, ma quando è stato scoperto ha gettato quella maschera che nei pizzini si era ben guardato dal fare, chiedendo al boss di costituirsi in nome anche di quella figlia oramai cresciuta che vive con la madre a casa di Nonna Lorenza, la vedova di don Ciccio Messina Denaro che si augura che un giorno o l’altro scoppi il cuore di chi dà la caccia al figlio.E però in una città che oggi si dibatte su questa feroce polemica a proposito del convegno al Selinus indetto dall’associazione Antiracket, presenti il pentito Calcara e il procuratore della Dda, Antonio Ingroia, e disertato dagli studenti, per volere dei presidi, finisce che alla fine fatti più seri e testimoni della protervia di una mafia tutt’altro che vinta, se ne parla poco. Eppure gli argomenti ci sono: 22 milioni di euro, a tanto ammonta il maxi sequestro, l’ennesimo per il territorio di Castelvetrano, deciso dal Tribunale delle Misure di prevenzione di Trapani e che ha colpito uomini vicinissimi al boss latitante Matteo Messina Denaro.
Un sequestro che ha colpito quella parte di impresa che, secondo il Gico della Finanza, la Procura antimafia di Palermo e secondo i giudici del Tribunale, è diventata forte grazie all’appoggio di Cosa Nostra. Castelvetrano è uno dei pochi paesi della provincia che nel giro di un decennio ha conosciuto un picco di crescita dal punto di vista imprenditoriale, ma nello stesso tempo ha visto finire sotto sequestro diverse di quelle attività che nel giro di poco tempo hanno potuto realizzarsi, hanno dimostrato indagini della magistratura, grazie anche a truffe e raggiri rispetto alle quali la mafia non è rimasta in disparte. Gli ultimi sequestri fanno parte di questa serie: ci sono le imprese casearie di Mario Messina Denaro, il cugino del boss latitante Matteo, quello che secondo i giudici faceva in modo di mantenere «l’onore della famiglia» occupandosi di estorsioni.
Mario Messina Denaro coinvolto nell’operazione Golem è stato condannato a 5 anni ed ha avuto applicata una sorveglianza speciale per tre anni. C’è poi il campobellese Francesco Luppino, lo “zio Franco” quello che incontrava i latitanti Lo Piccolo per conto di Matteo Messina Denaro. E’ uscito dal carcere grazie all’indulto sebbene condannato per omicidio, ma all’epoca della sua condanna non c’era il 416 bis per cui dalle carte non risultava un mafioso. Fuori dal carcere si è potuto permettere di fare un grosso investimento, 200 milioni di vecchie lire, in uno stabilimento oleario, “Fontane d’Oro” di Campobello, anche questo sequestrato, come se in cella raccoglieva risparmi. L’oleificio poi era la base di smistamento dei “pizzini” e non tanto di smercio di bottiglie di olio. Altra figura centrale del controllo dell’intreccio mafia e imprenditoria è quella dell’anziano Leonardo Bonafede, fuori dal carcere non ha pensato a mettersi da parte ma ha cominciato ad occuparsi delle vicende mafiose, e con Luppino ha spartito secondo i giudici il bastone del comando.
Latitante dal 1993, in tutti questi anni il boss mafioso Matteo Messina Denaro si è pulito le mani dal sangue dei morti ammazzati e ogni indagine contro la sua cosca dimostra come ha saputo bene indossare la grisaglia dell’imprenditore.
L’anno scorso la Polizia, con in testa la Squadra Mobile di Trapani, diretta dal neo promosso primo dirigente Giuseppe Linares, ha saputo colpire l’organizzazione dei favoreggiatori del capo mafia, con l’operazione denominata «Golem», adesso la Guardia di Finanza ha fatto i conti in tasca agli indagati e su richiesta della Procura antimafia di Palermo il Tribunale delle Misure di prevenzione di Trapani ha emesso l’ordinanza con la quale è stato sequestrato un patrimonio da 22 milioni di euro. I finanzieri hanno dimostrato che il patrimonio detenuto da alcuni degli indagati risultava essere «spropositato» rispetto ai redditi dichiarati, insomma tra le loro mani era sicuramente passato altro denaro, quello non dichiarato, quello che di solito serve a riempire le casseforti della mafia, in questo caso quella «potente» del super boss Matteo Messina Denaro. Latitante dal 1993, il giovane rampante mafioso se riesce ad essere ancora «imprendibile» lo è per questa rete di imprese e imprenditori creata, la cosidetta «supercosa», cioè una mafia che si muove ad un livello più alto e riservato rispetto a quella degli «uomini d’onore». La mafia che «non si vede» e che «non turba» perché non commette delitti, ma distribuisce «favori», come l’assunzione di personale. L’altra mafia, quella che intimidisce le imprese con il fuoco per esempio, o con le armi, per imporre il «pizzo» non significa che ha dismesso le sue attività e non c’è più, c’è e spesso si fa sentire ancora. Perchè di soldi alla mafia «sommersa» ne servono tanti e quindi il racket c’è sempre.
Ma invece di parlare di questo si fanno le polemiche, e si lanciano strali l’uno contro l’altro, tra soggetti che dovrebbero stare dalla stessa parte. C’è qualcuno che ha detto che di questa situazione Matteo Messina Denaro ha avuto di che ridere, viene da dire che lui da ridere ha ben poco, gli hanno arrestato i complici, gli hanno tolto il controllo di diverse casseforti, stanno arrestando le sedie dove i suoi complici sedevano, come lui stesso aveva anticipato che potesse accadere, no lui non ride affatto, a noi viene da piangere invece quando ci rendiamo conto che continua ad esistere una classe politica non adeguata, e non solo a Castelvetrano, e attendiamo di piangere di felicità quando Messina Denaro verrà catturato, perché altro epilogo questa storia non potrà avere, nonostante tutto.
quando si comincia a fare qualcosa per i quartieri popolari,ecco che misteriosamente tutto si ferma..il tanto lodato quartiere sopraindicato rischia di vedere vanificato il suo sviluppo…è zona altomafiosa e nessuno lo vuole capire..rifugio di persone e manovalanza di centesima categoria…il sig.fiordaliso si interessi di tale rione…invece di perdersi in chiacchiere…
visto che le piace fare il missionario, c’è a disposizione il quartiere belvedere che lei conosce bene e per cui lei, a quanto mi risulta ,non si è degnato di muovere un dito. ci sono alunni che vengono da questo rione, li interroghi su come vivono qui e cosa desiderano, forse per lei ci sarà una vera lezione di educazione civica.i bulli a scuola ci sono sempre stati, e la colpa è anche dei professori e di voi presidi..e ne sò per esperienza diretta..siete voi docenti che tollerate questi delinquenti di mezza tacca ,solo x hanno padri chic e altolocati, verso cui avete la tendenza al leccapiedismo.non fate i martiri..
In riferimento alle notizie di stampa che mi riguardano, mi corre l’obbligo, a onor del vero, di precisare quanto segue:
– Come risulta dall’articolo comparso su “Antimafia duemila”, l’incontro è stato organizzato per soddisfare il desiderio di Vincenzo Calcara di incontrare gli studenti di Castelvetrano e non per celebrare l’anniversario della nascita di Paolo Borsellino (illuminante è in proposito la totale assenza delle forze dell’ordine, ignare dell’evento);
– Ho ritenuto nient’affatto utile né educativo che i miei studenti partecipassero all’incontro, perché ritengo che i collaboratori di giustizia, senz’altro utili per le indagini, non abbiano niente da insegnare, né possono sedere in cattedra, decisione condivisa pienamente dal Consiglio d’Istituto, (allegato n. 1);
– Comunque, non ho impedito ad alcuno di partecipare al convegno, anche perché nessuna richiesta in tal senso mi è pervenuta;
– Il mio impegno sul terreno dell’educazione alla legalità è testimoniato dai titoli di cavaliere e commendatore, conferitimi da Scalfaro nel 1996 e da Ciampi nel 2006, dal premio Francesco De Sanctis del Centro Pannunzio di Torino e dai molteplici attestati di solidarietà pervenutimi in occasione dei diversi attentati subiti, l’ultimo dei quali risale a fine maggio 2010, dopo il corteo e il convegno da me organizzati per ricordare la strage di Capaci (allegato n. 2);
– Se per difendere un delinquente, qual è stato Calcara, si vuole offendere chi ha fatto dell’antimafia uno stile educativo e una scelta di vita, con il segreto proposito di farlo demordere, non si è capito che come ho resistito in trent’anni di attività educativa per la formazione di una coscienza civile e democratica delle nuove generazioni ad attentati e a dileggi (“preside antimafia” mi chiamavano) così continuerò imperterrito sulla mia strada, superando l’amarezza che provo per la malevolenza di alcuni e l’incomprensione di molti.
Francesco Fiordaliso
COMUNICATO STAMPA
Il Consiglio d’istituto, il personale docente e non docente, gli alunni del liceo classico “G. Pantaleo”, del liceo delle scienze umane “G. Gentile” e del liceo scientifico “M. Cipolla” di Castelvetrano esprimono totale solidarietà al dirigente scolastico Francesco Fiordaliso contro gli attacchi più o meno velati della pseudo società moralizzatrice e buonista e di qualche organo di stampa su cui si nutre qualche dubbio sulla “mission” socialmente educativa che pur dovrebbe svolgere, e ribadiscono con forza che i modelli educativi possono esclusivamente essere rappresentati da persone oneste e laboriose, tra cui rientra indubbiamente il dott. Ingroia che pure muove qualche critica, che hanno certamente apportato un contributo costruttivo alla società civile e non presunti ex delinquenti che hanno procurato danni sociali e che paradossalmente, in uno stato di “diritto” sono mantenuti con i contributi di quelle persone oneste e laboriose di cui sopra.
Tutto ciò al fine di voler contribuire a deviare il percorso di una società decadente in cui si mistificano i personaggi spazzatura pubblicizzati dai mass media e si tende a creare artatamente confusione su quelli che dovrebbero essere i veri eterni valori su cui è stata costruita e si fonda la società civilizzata.
INTRODUZIONE ANNUARIO LOGOI N. 6
Quest’anno scolastico si è concluso con un episodio che ha turbato la nostra serenità, ma che dimostra, in tutta la sua crudezza, come la nostra azione educativa sia incisiva in un territorio dominato dalla mafia e dalla mafiosità, dove non si muove foglia che Matteo Messina Denaro non voglia.
Chi non conosce la realtà di questo piccolo paese non può capire l’invasività della mafia, che non si cura solo degli interessi economici, come fa altrove, ma vuole anche avere il dominio su tutti e su tutto, con una presenza capillare in vasti settori della vita pubblica e privata. Può succedere solo qui che professionisti dell’educazione vengano intercettati mentre si lasciano andare in espressioni di stima e ammirazione nei confronti della primula rossa della mafia. Può succedere solo qui, dove, non a caso, la mafia ha inscenato la morte del famigerato bandito Giuliano, che vengano uccisi i sindaci o sequestrati potenti considerati altrove intoccabili, come l’esattore Corleo, suocero di uno dei potenti cugini Salvo. Può succedere solo qui che ai funerali di Francesco Messina Denaro, padre di Matteo, partecipi quasi tutta la città senza un minimo senso di vergogna. Può succedere solo qui che i rampolli dei mafiosi facciano il bello e il cattivo tempo a scuola senza che nessuno osi contrastarli. Qui la mafia va in doppio petto, frequenta i circoli e i salotti buoni, è osannata e riverita, esercita il potere economico senza trascurare di mantenere stretti addentellati anche con il mondo politico e con la società che conta. Qui chi si oppone viene dileggiato, “sparlato”, equivocato, isolato.
Ricordo il lontano 1992, l’anno delle stragi, quando, prima nel febbraio, poi a maggio, mi bruciarono la scuola e l’autovettura, solo perché portavo avanti l’educazione alla legalità senza piegarmi a chi mi chiedeva di “allinearmi”, colpevole di organizzare dibattiti a scuola con personaggi non graditi, come il giudice Carlo Palermo, ritornato in provincia per la prima volta dopo l’attentato di Pizzolungo, o i procuratori Falcone e Borsellino. Mi chiamavano, ironicamente, “preside antimafia”, quando l’antimafia a scuola non era ancora di moda, ma veniva considerata pericolosa perché “si nuoceva il cane che dorme”. Ma io, sin da ragazzo, avevo scelto la strada dell’impegno e del servizio per contrastare l’ingiustizia sociale e lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Formatomi in azione cattolica, ero solito divorare i libri sulla vita dei santi che il mio buon assistente spirituale mi forniva, gli unici, d’altronde, che avevo a disposizione. Sulla scorta del loro esempio ho pensato di fare il missionario per aiutare i lebbrosi e coloro che morivano di fame in terra d’Africa o nel Mato Grosso. Crescendo, però, ho capito che i poveri li abbiamo anche qui fra noi, per cui, laureatomi, ho scelto di restare qui, nella nostra terra, per dare una mano a coloro che lottavano per il riscatto della Sicilia, in attesa di vincere i concorsi a cattedra, piuttosto che andare al nord, alla ricerca facile di un incarico, che allora non si negava a nessuno, per traghettare, dopo alcuni anni di insegnamento, nei ruoli della scuola. Una scelta che mi ha portato a lottare con Danilo Dolci per le strade e per le dighe, con don Antonio Riboldi per la ricostruzione del Belice, con il senatore Ludovico Corrao per la rinascita culturale delle zone terremotate. Chiusa la parentesi di un impegno politico, che si è rivelato falso e illusorio, mi sono dedicato totalmente alla missione di favorire la formazione di una coscienza civile e democratica tra le nuove generazioni, prima come docente, poi come preside, sino a quando, nel “92, non ho sentito sul mio collo l’alito puzzolente e disgustoso della mafia. Anche allora vi fu una serie di episodi (la targa della scuola divelta e spezzata in due, la telefonata minacciosa a mia madre, la gallina infilzata alla cancellata della scuola, il cerone dietro la porta di casa) che furono giudicati “ragazzate”, sino a quando la notte del 16 maggio la mia alfa rossa fiammante, posteggiata sottocasa perché l’indomani sarei dovuto andare in una scuola di Piazza Armerina per un dibattito sulla mafia, non divenne fiammeggiante. La bottiglia con il residuo del liquido infiammabile usato lasciata a pochi passi di distanza non lasciava alcun dubbio sulla causa dell’incendio e dava anche una paternità alle “ragazzate” precedenti. Ricordo che mio figlio,appena quindicenne, si slanciò per andare a spegnere l’incendio della sua macchina (l’avevo acquistata perché era piaciuta a lui), trattenuto a stento da mia moglie. Ricordo che i condomini, oltre a chiedermi di ripristinare a mie spese il prospetto deturpato dalle fiamme, posteggiavano le loro vetture lontano da quella di mia moglie, a scanso di ogni rischio, che i colleghi, con cui ero solito andare a Trapani o a Palermo per le riunioni, non furono più disponibili a viaggiare con me, che i miei cognati, con cui dividevo la villetta per l’estate, rinunciarono alla villeggiatura. Mi sentivo un appestato, accusato di smania di protagonismo da una parte, di chissà cosa dall’altra. Una situazione che si è protratta sino a quando si è presentata l’occasione di assumere la presidenza del Liceo Ballatore di Mazara del Vallo, dove sono stato in esilio volontario per allentare una pressione che rischiava di diventare una sfida personale tra me e qualche mafioso. Sono ritornato, dopo dieci anni, perché il mio cuore non aveva retto e gli acciacchi non mi consentivano di viaggiare, ma anche perché, se non soprattutto, ero orgoglioso di assumere la guida di questo glorioso istituto, che ingloba il Liceo Classico “Giovanni Pantaleo” e il Liceo delle Scienze Umane “Giovanni Gentile”, dove ho concluso i miei studi liceali.
Mi sono, sin dall’inizio, prefisso di operare con discrezione, di evitare ogni forma di visibilità, rifiutando interviste e passerelle, delegando a rappresentarmi nelle varie manifestazioni il prof. Lillo Giorgi, mio prezioso collaboratore, anch’egli vittima di un grave gesto intimidatorio per l’attività di contrasto portata avanti contro la mafia nella sua qualità di vicesindaco. Ma non potevo, né volevo, rinunciare all’educazione alla legalità, sempre portata avanti da me, prima da docente e, poi, da preside, sin dai lontani anni ottanta del secolo scorso. Così ogni anno ho avviato le attività didattiche con una “lectio magistralis” sulla legalità, ho organizzato, poi, un convegno su una tematica specifica sul problema della mafia, in occasione dell’anniversario della nascita del magistrato Luca Crescente, ex allievo del Classico, ho ricordato, infine, la strage di Capaci con una tavola rotonda e una messa, una delle quali è stata celebrata dal compianto cardinale Pappalardo.
Quest’anno, dopo tanti magistrati, la “lectio magistralis” è stata tenuta da Rita Borsellino, il convegno del 15 gennaio ha affrontato il problema della “Mafia nel carrello”, riferendoci, in modo particolare alla città mercato costruita da Grigoli come un monumento alla superpotenza di Matteo Messina Denaro, la tavola rotonda per l’anniversario della strage di Capaci ha visto la partecipazione, tra gli altri, dell’europarlamentare Rosario Crocetta, già sindaco di Gela, e del sen. Giuseppe Lumia, già presidente della Commissione parlamentare antimafia, i quali, per non smentirsi, hanno parlato senza peli sulla lingua. Quest’ultimo, soprattutto, nel suo vibrante intervento, ha disegnato la rete di potere, affari e collusioni criminali di Matteo Messina Denaro, ponendo l’accento sulla negatività della sua presenza nel territorio e usando provocatoriamente nei suoi confronti pesanti espressioni per distruggere l’icona di eroe negativo diffusa nell’immaginario collettivo. Gli studenti con uno scrosciante applauso hanno espresso la loro chiara e netta approvazione al discorso, suscitando il fastidio in alcuni volti poco noti, mai visti prima. “Questo – ha dichiarato il sen. Lumia – ha dato molto fastidio alla mafia. È stata un’iniziativa di grande qualità educativa, in un contesto scolastico preparato e progettuale che rifiuta l’omertà e si impegna contro la mafia”.
Avevo fatto affiggere sui due lati del totem che troneggia davanti al Liceo Classico e che solitamente uso per propagandare le varie iniziative un megamanifesto di m..5.60×2.60 che ritraeva i due magistrati Falcone e Borsellino sorridenti, mentre conversavano tra di loro, con l’intenzione di lasciarlo lì tutta l’estate a significare la presenza di una società civile che non aveva nulla a spartire con la mafia. Per la verità avevo, in precedenza, pensato di fare stampare la foto segnaletica di Matteo Messina Denaro con sotto la scritta “wanted”, ma non ho trovato nessuna tipografia disponibile a stamparla, per cui ero stato costretto a riprodurla in fotocopie.
La notte successiva il manifesto è misteriosamente scomparso, senza che a terra o nei dintorni fosse possibile rinvenirne alcuna traccia. Non era mai successo che un nostro manifesto venisse strappato! In un comunicato stampa i docenti, condannando gli autori del vile gesto, così si esprimevano: “Costoro, a prescindere dal fatto che l’azione sia stata compiuta con dolo o per insulsa idiozia, hanno dimostrato di non rispettare quanti rappresentano la legalità e l’antimafiosità proprie della Sicilia sana che nulla ha da spartire con i fenomeni di criminalità che tanto hanno martoriato e purtroppo continuano a martoriare la nostra isola ed il nostro territorio. L’aver fatto sparire quel manifesto, con le immagini dei giudici Falcone e Borsellino, è certamente da condannare anche se a compierlo sono stati dei balordi, utile humus della mafia che, prima del territorio, riesce a dominare le coscienze di taluni. Siamo certi – conclude il comunicato – che si sta velocemente avvicinando il giorno in cui Castelvetrano e la provincia di Trapani non saranno più associate al nome di Matteo Messina Denaro”. Gli episodi successivi di cui ha parlato la stampa (il danneggiamento delle statue in gesso di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e del pannello con le loro effigi allo stadio) sono emblematici di una strategia che solo una mente sottile, come quella di Matteo Messina Denaro, sa utilizzare, come più volte, in varie occasioni, ha dimostrato. La tendenza a minimizzare non serve, mentre è più utile mostrare una coscienza vigile e attenta. Ricordo che Maurizio Costanzo superò la mia resistenza a partecipare al suo show, dicendomi che la visibilità in casi simili al mio garantiva la sopravvivenza, perché la mafia colpisce coloro che restano isolati. Perciò ringrazio sentitamente tutti coloro che hanno voluto nobilmente farmi pervenire la loro solidarietà, quando, a seguito della scomparsa del manifesto raffigurante Falcone e Borsellino, è stata rinvenuta sul tavolo della portineria del Liceo Classico una busta a me indirizzata con una cartuccia di fucile. “Non si può non notare – si legge nel comunicato stampa dei docenti – che questo esplicito attacco al dirigente scolastico costituisce un attacco alla scuola tutta ed alla sua attività formativa improntata al rispetto della legalità ed all’antimafiosità proprie della Sicilia sana, la quale nulla ha da spartire con i fenomeni di criminalità che tanto hanno martoriato e purtroppo continuano a martoriare la nostra isola ed il nostro territorio. La Castelvetrano rispettosa della legalità deve fare scudo contro questi atti intimidatori i cui esecutori e mandanti dovrebbero essere al più presto scoperti e puniti. Castelvetrano deve essere ricordata per le grandi iniziative culturali, molte delle quali nate per impulso del preside Fiordaliso, e non per queste azioni meschine che rischiano di continuare a fare del territorio un utile humus della mafia la quale riesce ancora a procurarsi insulsa manovalanza e perfino a dominare le coscienze di taluni”. Mi sono pervenuti attestati di solidarietà da parte del Direttore dell’Ufficio Scolastico Regionale, dell’ex Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, dei Sindaci di Castelvetrano, Campobello di Mazara e Partanna, dei Presidenti del Consiglio, della Confidustria, del Presidio di Libera e del Movimento Federalista Europeo della provincia di Trapani, del Centro Pannunzio di Torino, del Centro Pio La Torre di Palermo, dell’ASASI (Associazione Scuole Autonome Sicilia), del Centro Internazionale “Giovanni Gentile”, del CRESM, della Scuola di Teatro, Cinema e Danza “Ferruccio Centonze” del Teatro Selinus, del Consiglio d’Istituto, della FIDAPA e della FILDIS, del Lions, del Vice Sindaco, dell’Assessore alle Pari Opportunità, del Presidente della Commissione alle Pari Opportunità, dei consiglieri Rino Chiovo, Pasquale Calamia, Carlo Cascio del Comune di Castelvetrano, del consigliere provinciale Marco Campagna, del sen. Ludovico Corrao, dell’on. Vito Li Causi, del giudice Benedetto Giaimo, dei giornalisti Paolo Rumiz de “La Repubblica”, Antonino Bencivinni di “Kleos”, Max Firreri e Mariano Pace del “Giornale di Sicilia”, Margherita Leggio de “La Sicilia”, delle scrittrici Gabriella De Fina e Leda Melluso, dei presidi Giovanni Lombardo, Vito Ingrasciotta. Nella Cusumano, Nino Accardo, Grazia Vivona Marchese, Gaetano Calcara, Vito Tibaudo, Leonardo Chiara, di tanti docenti e studenti del Liceo Classico “G.Pantaleo”, del Liceo delle Scienze Umane “Giovanni Gentile”, del Liceo Scientifico “Michele Cipolla”, di tantissimi altri, tra cui gli accademici Hervè Cavallera dell’Università di Lecce, Giovanni Cavallera dell’Università di Firenze, Gaspare Falsitta dell’Università di Pavia, Andrea Ungari della LUISS di Roma, Giuseppe Modica, Alessandro Musco, Piero Di Giorgi, Ivan Angelo e Giacomo Bonagiuso dell’Università di Palermo, Valerio Marucci dell’Università del Salento, Guido Laj della III Università di Roma, Lino Di Stefano di Frosinone, Franco Borghi del presidio Libera di Cento, Giovanni Falcetta di Crema, Rosario Di Bella, Marilù Gambino, Fede Amari, gli avvocati Nino Marino, Franco Messina, Tancredi Bongiorno e Victor Di Maria, la Segretaria del Circolo “G.Impastato” di Castelvetrano, don Baldassare Meli, Gaspare Agate, Baldassare Genova, Giuseppe Ingoglia, Gianfranco Becchina Nino e Graziella Gancitano, Anna Gelsomino, Lillo Giorgi, Rosaria Giardina, Paride Sinacori ecc.ecc, i cui testi si possono leggere sul sito dell’Istituto http://www.liceomagistralecastelvetrano.it
Francesco Fiodaliso