Se l’Italia, per una volta, sale sul podio
(di Francesco Perrella)
Se l’on. Scilipoti fa il suo show in radio, il ministro della Repubblica Ignazio La Russa non vuole essere da meno e, ospite ad Annozero, va su tutte le furie davanti agli attacchi che gli rivolge uno studente della Sapienza. Vigliacchi, apologia di reato, rispetto… E mentre la politica (o presunta tale) in questi giorni urla più che mai, le stime preliminari Ocse per il 2009 arrivano come una scure silenziosa. Primo dato: l’Italia è penultima, all’interno dei paesi presi in esame, per occupazione in età giovanile, ferma ad appena il 21,7% di giovani lavoratori; dietro, solo l’Ungheria, con un 18,1%, a fronte di una media europea ben più alta, il 40,2%. Che pure è un dato figlio di una crisi mai vista prima: nell’area Ocse ci sono attualmente 3,5 milioni di giovani disoccupati in più, e almeno 16,7 milioni rientrano nel cosiddetto “Neet group” né educazione né lavoro.
Ma l’aspetto più preoccupante messo in luce dall’organizzazione parigina, è che tra questi ultimi solo 6,7 milioni sono in cerca di un impiego, mentre gli altri 10 milioni hanno smesso di cercare, scoraggiati dalla situazione. La ricetta suggerita dall’Ocse per uscire da questa situazione non è certo cosa da poco, ma sarebbe anche ora che i governi ponessero la loro attenzione su certe tematiche su cui, fino ad ora, si è agito spesso proprio in senso contrario: “lanciare programmi di intervento che forniscano un’efficace assistenza alla ricerca di lavoro per i diversi gruppi di giovani”, con particolare attenzione alle categorie più a rischio, come gli immigrati o i ragazzi privi di titolo di studio. Inoltre, l’Ocse consiglia di “rinforzare l’apprendistato e altre forme di training integrato per giovani con competenze di basso livello” e di “incoraggiare le aziende ad assumere i giovani, fornendo sussidi temporanei, in particolare per le piccole e medie imprese”.
C’è un altro dato, forse ancor più inquietante per l’italiano medio: in Italia la pressione fiscale è arrivata al 43,5%, in aumento dello 0,2 rispetto all’anno precedente. Un dato tutt’altro che trascurabile, ancora più se paragonato alla classifica generale: l’Italia è finalmente sul podio, terza assoluta dopo Danimarca (48,2%) e Svezia (46,4%), avendo spodestato anche il Belgio, dove la pressione del fisco è addirittura scesa dal 44,2% al 43,2%). Per una volta in nostro paese può competere con le tanto blasonate realtà nord europee. Territori mitici avvolti nel freddo, nazioni come la Svezia, in cui l’evasione fiscale rasenta lo zero assoluto, perchè pagare le tasse non è certo un piacere ma un obbligo fondamentale come andare in bagno. Dove nessun ministro della pubblica amministrazione parlerebbe di “bamboccioni”, visto che si è gia attivato insieme ai suoi colleghi ed ha dato vita ad un’organizzazione, il Centrala Studiestödsnamn, che concede agli studenti a tempo pieno una retta mensile per il loro sostentamento, più finanziamenti a tassi praticamente nulli per sostenere le spese di studio. Terre dove accadono cose strane: capita ad esempio che un ospedale pubblico, il Karolinska Institutet rientri nella classifica delle dieci migliori scuole di medicina al mondo, battendo di gran lunga anche i costosissimi campus statunitensi.
Oppure altre innumerevoli stranezze: il mercato degli affitti è controllato dallo stato, se un mezzo pubblico fa ritardo la responsabilità è sempre e solo dell’azienda, gli screening di prevenzione sanitaria vengono effettuati in maniera capillare, non esistono tasse scolastiche nelle scuole superiori e nemmeno i contratti di assunzione a tempo determinato. Ecco una nazione in cui paghi le tasse perchè hai una motivazione. Qual’è la distanza tra l’Italia e la Svezia in termini di vivibilità e servizi al cittadino? Può dircelo anche l’ultima classifica delle cinquanta migliori città del mondo per qualità della vita: Stoccolma è al ventesimo posto (ma Copenhagen è all’undicesimo), Roma non compare nemmeno.
Eppure, tutto ciò malgrado, il cittadino italiano si vede costretto a contribuire al bilancio del suo stato all’incirca con la stessa percentuale di denaro rispetto ad un nord europeo, quando lo fa. E se lo fa, alla luce di certi dati è decisamente poco motivato a farlo. Ora lo show può anche riprendere.
Chi trova un mare trova un mare