L’antico codice del mondo contadino

La terra, il possesso, liti che durano anni e che segnano il narrato e alimentano i rancori delle famiglie per generazioni. Nella calabria più profonda la terra è ancora tutto. “Si nella mia regione è un legame che c’è ed è vivo, soprattutto nelle vecchie generazioni”. Francesca Viscone, giornalista e scrittrice (“La globalizzazione delle cattive idee” è l’ultimo libro edito dalla Rubbettino) vive in provincia di Vibo Valentia, conosce come pochi gli angoli più nascosti e meno descritti della Calabria.

Cinque morti, una strage per qualche metro di terra.
Succede anche questo, ma riflettiamo di quale mondo stiamo parlando.La strage avviene a Filandari, provincia di Vibo, periferia della periferia. Punti minuscoli su cartine geografiche, frazioni di paesi sperduti che spesso neppure i calabresi conoscono. Qui, tra queste case di campagna con gli infissi di alluminio anodizzato, la modernità è lontana.

Rimane la riflessione sulla violenza.
La Calabria è una regione dove c’è una violenza diffusa, anche a prescindere dalla ‘ndrangheta che ha forme violentissime di soluzione dei conflitti e di governo degli affari e del territorio. La respiri nell’aria, ti si appiccica addosso. Ma lasciami dire che la violenza non è u n elemento caratterizzante delle nostre campagne. Le nostre masserie sono anche luoghi festosi,penso ai matrimoni con centinaia di invitati, dove si mangia, si balla, penso alla cultura della ospitalità, alla condivisione di momenti di lavoro.
Tutto giusto, ma si uccide per questioni di confine e di terreno
Nelle campagna le conflittualità non è mediata da figure istituzionali. Per una questione di confini raramente ci si rivolge all’avvocato o al giudice. C’è una sorta di diritto popolare che è ritenuto molto al di sopra di quello ufficiale come strumento per affrontare e risolvere controversie.

Quelle per i confini poi portano a tragedie come quella di ieri.
Ci sono una serie di tecniche di appropriazione dei terreni, la più diffusa è quella di spostare i confini spesso segnati con alberi di quercia. Qui il conflitto in genere scoppia con la morte del capofamiglia, gli eredi spesso non conoscono i limiti, a volte non esistono mappe catastali precise,tutto fa riferimento alla memoria. Fino a quale quercia arriva il mio confine? E scoppiano i conflitti che possono anche sfociare in una strage. Ma questa è l’eccezione e non la regola. Questo è lo sterminio di un’intera famiglia che esplode dopo rancori che forse si trascinavano da generazioni, alimentate all’interno di mentalità arcaiche di un mondo contadino che vive ai margini dei margini e non riesce a trovare soluzioni alle liti.

Siamo alla viglia del 2011, eppure sembra la Calabria descritta da Corrado Alvaro nel suo “Gente di Aspromonte”, con il pastore che si fa giustizia da sé e quando i carabinieri lo ammanettano dice quella frase bellissima “Finalmente potrò parlare con la giustizia e dirle il fatto mio”.
E’ la Calabria di oggi ed è la realtà contadina di questi tempi. Un mondo parzialmente estinto, scomparso in una maniera rapida e violenta, costretto a rinnegare se stesso. Per anni i contadini si sono dovuti trasformare in altro,muratori, emigranti,operai delle fabbriche, assistiti della pubblica amministrazione. Per anni sono stati additati al pubblico disprezzo dalle altre classi sociali, fino a caricarsi di un fortissimo complesso di inferiorità. I contadini si sono sentiti inutili, hanno avvertito il senso di inutilità della cultura di cui erano portatori. Alla fine rimane solo la terra, il suo possesso come difesa della propria identità e dell’onore. E per la terra si può anche fare una strage.

(pubblicato su Il Fatto Quotidiano del 28 dicembre 2010)