Quando a collaborare è una donna

(di Lucio Musolino)

Il quarto collaboratore di giustizia nel giro di pochi mesi. Stavolta a tremare è la ‘ndrangheta della Piana di Gioia Tauro. Giuseppina Pesce, figlia del boss Salvatore di Rosarno, ha saltato il fosso. Sposata e con tre figli, era in carcere dall’aprile scorso quando i carabinieri l’hanno arrestata nell’ambito dell’operazione “All inside”. Sei mesi a “San Vittore” ed è crollata. Non ce l’ha fatta più e il 14 ottobre ha iniziato a collaborare con i magistrati della Dda reggina ai quali la donna di mafia ha confessato di aver svolto il delicato ruolo di collegamento tra il padre detenuto e gli affiliati a cui dava indicazioni sulle estorsioni e sulle modalità che la cosca adottava per nascondere il patrimonio acquisito con le attività illecite.
La collaboratrice ha ricostruito l’organigramma della sua famiglia. Ha riconosciuto nel cugino latitante Francesco Pesce il più pericoloso tra i nuovi rampolli del clan.
Le sue dichiarazioni “analitiche e dettagliate” hanno consentito ai carabinieri del comando provinciale di fare luce sugli assetti criminali esistenti a Rosarno.

Quello di Giuseppina Pesce è stato definito un contributo importante dal procuratore aggiunto Michele Prestipino (che ha coordinato l’indagine assieme ai sostituti Roberto Di Palma e Alessandra Cerreti). “È il contributo di chi, essendo stato mafioso, ne svela i segreti. Sono fatti e circostanze che non potrebbero essere acquisiti altrimenti”.Il blitz dell’operazione “All inside 2” è scattato all’alba. Ventiquattro arresti in tutto tra cui due donne: Carmelina Capria, moglie del boss Antonio Pesce Antonio detto “u testuni”, e Maria Grazia Pesce.
La prima aveva il ruolo di portavoce e di cassiera della famiglia mafiosa, mentre l’altra era la portaordini tra il carcere e i membri della cosca operativi su Rosarno
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Un vero e proprio matriarcato in chiave mafiosa. Ma gli uomini del colonnello Carlo Pieroni hanno stanato anche pezzi infedeli dello Stato: tra gli arrestati, infatti, anche due carabinieri, Carmelo Luciano e Giuseppe Gaglioti, e un agente della polizia penitenziaria, Eligio Auddino, in servizio nel carcere di Palmi. Quest’ultimo avrebbe favorito lo scambio di messaggi e comunicazioni tra il boss Salvatore Pesce e i suoi familiari, ricevendo in cambio la promessa da parte della cosca per l’assunzione a tempo indeterminato della moglie presso la casa di cura “Villa Elisa” di Cinquefrondi.

(pubblicato su Il Fatto Quotidiano del 24 novembre 2010)