Come può un poliziotto…

(di Francesco Perrella)
Spesso per capire un presente che ci appare assurdo basta scavare un po’ nel passato. Rileggere le storie a cui magari sul momento non si è prestata attenzione, che apparivano insignificanti e sterili. Storie che valgono la pena di essere raccontate, come quella dell’ex agente Matteo Federici, classe 1981, un ragazzo come tanti cresciuto nella provincia romana ed entrato in polizia dopo il diploma, spinto un fascino per la divisa che portava nel cuore già da bambino.

Di stanza a Torino, in una domenica di febbraio del 2003 sta rientrando dalla sua prima missione, un servizio di sicurezza allo stadio di San Siro durante la partita Inter-Reggina. Sul pullman pieno di suoi colleghi la chiacchiera si sposta rapidamente sul calcio; i più ridono su come, a Roma, i tifosi romanisti, per lo più di sinistra siano stati spinti fuori dalla curva da quelli di destra. Matteo interviene nella discussione, assicura che, essendo anch’egli un tifoso della Roma ed assiduo frequentatore dell’Olimpico, non è mai stato coinvolto in simili episodio di politicizzazione del calcio. I colleghi più anziani provocano, accusandolo di essere una “zecca”, uno di quelli che, a Genova, nel 2001 aveva sputato sulla polizia. Anche qui Matteo invita a non generalizzare, sostiene che non tutti i manifestanti di Genova fossero li con intenti violenti e che, se sputavano, lo facevano non sugli uomini, ma sulle istituzioni. Si scatena il putiferio, e solo un richiamo di un ispettore riporta l’ordine sul pullman, ma la vicenda non è destinata ad esaurirsi qui. Alcuni agenti che avevano partecipato al servizio a Milano stilano una relazione sul caso che arriva sul tavolo della Commissione Consultiva della Scuola allievi di Piacenza; benché lo stesso ispettore responsabile della squadra di cui faceva parte Matto sostenga, seppure con qualche riserva, la versione dell’agente, ponendo la questione sul tono della “ragazzata”, il direttore della scuola, Mattia La Rana, è deciso nel comminare al giovane la pena della “deplorazione”, decisione che viene rapidamente confermata dal Ministero dell’Interno, ma che appare spropositata a fronte del fatto contestato. Prima coincidenza: fanno la loro comparsa due richiami disciplinari rivolti all’agente Federici, uno per aver “smarrito il tesserino” e l’altro per “aver parlottato durante un’esercitazione”, per andare a sostenere la proposta di radiazione avanzata da La Rana. Come da prassi, viene chiamato a far parte della Commissione Consultiva anche un delegato della Silp Cigl, tale Emanuele Ricifari, allora di stanza a Piacenza presso la stessa scuola di cui Matteo era stato allievo. Insieme a La Rana, è l’unico componente della Commissione a sostenere fermamente la pena della deplorazione per l’agente Federici.

Una presenza singolare, la sua, in quanto lo stesso dirigente provinciale Silp Cigl, dott. Pizzamiglio, era all’oscuro del suo coinvolgimento in una vicenda tanto delicata come la radiazione di un agente dall’Arma, di cui avrebbe dovuto essere immediatamente informato. Seconda coincidenza: Emanuele Ricifari è sposato con Maria Pia Romita, vice-direttore della scuola allievi di Piacenza e, quindi, collaboratrice diretta di La Rana. Il finale della nostra storia, a questo punto, appare facilmente immaginabile. L’agente Matteo Federici, ad appena ventidue anni, viene deplorato senza possibilità di appello dal corpo di polizia; ciò gli precluderà, anche la possibilità di partecipare a tutti quei concorsi pubblici (quasi tutti) per i quali è richiesto il non essere stati «espulsi da Forze Armate o da altri Corpi militarmente organizzati». Una decisione presa nonostante le testimonianze favorevoli dei superiori di Matteo, nonostante il dirigente locale del sindacato di Polizia non fosse stato informato, nonostante una pagella che attribuiva all’agente Federici buone capacita di reagire di fronte agli insuccessi, esecuzione dei compiti senza necessità di ulteriori stimoli, adeguata condotta di fronte a difficoltà impreviste, esecuzione scrupolosa del proprio compito, nessuna difficoltà a rispettare le norme, attenzione e continuità nel rispettare i gradi gerarchici. Una decisione che puzza di pregiudizio anche a distanza di sette anni, presa sulla base di motivazioni che lasciano tutt’ora il tempo che trovano. Matteo Federici avrebbe solo voluto essere un bravo poliziotto, un servitore dello stato. Per qualcun altro, invece, è andata diversamente. L’agente Emanuele Ricifari, infatti, viene promosso a vice questore di Brescia, dove opera tutt’ora. Si dice che il passato di una persona ci dica tanto su quello che sia nel presente. A guardare il suo passato di poliziotto, l’agente Ricifari appare insofferente ad ogni forma di protesta e di anticonformismo. E a guardare queste immagini, liberamente reperibili nella rete, di cui l’ispettore Ricifari è suo malgrado protagonista, si capisce come nulla avvenga puramente per caso.