I giornalisti tedeschi possono essere minacciati dalla mafia? Aber nein!
(di Francesca Viscone)
Quanti nemici si fa un giornalista che scrive contro la mafia?
Essere minacciati o intimiditi da mafiosi o amici di mafiosi è un destino comune a molti. Ma mai fino ad oggi avevamo assistito ad un attacco frontale da parte di giornalisti che scrivono di mafia nei confronti di una collega impegnata sullo stesso fronte. Paradossalmente, accade in Germania, dove evidentemente ancora non hanno capito che c’è un solo modo per combattere la penetrazione delle mafie nella società dei “perbene”, ed è quello di fare fronte comune, di solidarizzare. Eravamo abituati, nei casi peggiori, a diffidenze silenziose, a mormorii sulla veridicità o meno delle minacce ricevute da qualcuno. Forse sbaglio, ma mai finora si era visto un giornalista esporre un altro giornalista pubblicamente al ridicolo mettendo in dubbio la sua professionalità. Tanto meno usando il fatto che il giornalista in questione sia donna, per denigrare la sua professionalità descrivendola come “corrotta” da vanità tutte femminili. Lo sappiamo che tra uomini ci si scontra sui contenuti. Ma se c’è di mezzo una donna, no. Quello che scrive è la cosa che conta di meno. Come lo scrive non ha nessuna importanza. Conta solo il fatto che sia donna: un particolare che in qualunque momento può ritorcersi contro di lei. Se poi per caso tra le righe di un libro emerge la sua femminilità con orgoglio e convinzione, allora è facile attaccare a testa bassa.
Accade a Petra Reski. Molto nota in Italia per aver scritto Santa Mafia (un libro immediatamente censurato) e per aver avuto il coraggio di dire nomi e cognomi di gente in odore di mafia, da più parti querelata e costretta a subire estenuanti processi, più volte scortata durante la presentazione dei suoi libri, una volta persino in tribunale. Jürgen Roth, stimato scrittore ed esperto di tutte le mafie, è convinto che in Germania non sia possibile che un giornalista sia minacciato dalla criminalità organizzata. Cose queste che possono capitare solo in Italia, o nell’Europa dell’Est. E alla collega cosa rimprovera? Di “flirtare” con le minacce. Di giocare, cioè. Persino le intimidazioni subite in pubblico durante la presentazione di Santa Mafia a Erfurt possono essere, secondo Roth, interpretate in modi diversi.Per fortuna, scrive Roth, la Germania è un posto sicuro (lo abbiamo visto tutti) e anche se si parla di persone menzionate in un banale rapporto del Bka (!), difficilmente queste manderanno dei killer. Mette in dubbio persino che Reski possa aver avuto la scorta alla Fiera del libro di Francoforte, e conclude così: «man sollte di Kirche im Dorf lassen und nicht mit einer Bedrohung kokettieren, die in der Realität so nicht vorhanden ist». Che in italiano vuol dire: bisognerebbe lasciare la chiesa nel suo villaggio (cioè la mafia in Italia) e non giocare con minacce che nella realtà non ci sono mai state. Se Roth riesce a lasciare die Kirche im Dorf (la chiesa nel suo villaggio), noi siamo pronti a battergli le mani.
Un’altra brutta pagina la scrive purtroppo Andreas Ulrich su Der Spiegel. Ricordiamo che con questo prestigioso settimanale collabora il fotografo calabrese Francesco Sbano, produttore dei famosi cd di canzoni di ’ndrangheta. Ulrich, in un articolo dal titolo «Spiderwoman auf Mafiajagd» rinfaccia a Reski di aver fatto pubblicità nel suo libro ad una lussuosa Spider Alfa Romeo, messa a disposizione dall’azienda probabilmente con l’intento di diffondere l’immagine positiva di un marchio di prestigio, tutto italiano, che sta dalla parte dei giornalisti che scrivono contro mafia. Anche Ulrich mette in dubbio che Reski abbia mai subito delle minacce, non solo, ma si spinge più in là, parlando addirittura di «Selbstinszenierung als Mafia-Verfolgte». La giornalista avrebbe cioè messo in scena una persecuzione che nella realtà non ci sarebbe mai stata. Nel suo nuovo libro «Von Kamen nach Corleone» (Da Kamen a Corleone) non avrebbe mai trascurato, nella sua passione da missionaria, di perdersi, innamorata di sé come è, in osservazioni soggettive. Tuttavia, Reski non è Saviano, aggiunge. Conclude Ulrich che è problematica anche la pretesa di Reski di essere l’unica giornalista che possegga l’integrità morale necessaria per parlare di mafia: dimostra esattamente il contrario il fatto che abbia usato il suo libro per fare pubblicità ad una macchina italiana. Fosse stata una macchina tedesca, ci chiediamo, i tedeschi avrebbero protestato lo stesso?
Non finisce qui. L’articolo è corredato da una serie di foto in cui compare Roberto Saviano, l’autentico ed unico eroe dell’antimafia, Petra Reski, il ristorante Da Bruno, il funerale delle vittime di Duisburg, e, pensate un po’, una splendida spider…
Un’ultima precisazione: se esprimiamo solidarità a Petra Reski, non è perché siamo suoi amici. È perché da giornalisti sappiamo che c’è una bella differenza tra scrivere sulla mafia e scrivere contro la mafia. Aggiungiamo che conosciamo lo spessore professionale di Roth e di Ulrich, che leggiamo da anni e ci meraviglia molto questo loro attacco frontale. Nel caso in cui dovessero ricevere minacce, cosa che non ci auguriamo, esprimiamo la nostra solidarietà anticipatamente. Certi che saranno vere, e senza chiedere prove. Certi soprattutto che la Germania è un villaggio pieno di chiese, parafrasando Roth, e che se i tedeschi non hanno capito questo, probabilmente non hanno capito niente.
Tutto ció che esce dalla penna di questa Resky é spazzatura al 100%.
[…] Grazie a Malitalia. […]
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