I bombaroli di Reggio
Avevano deciso di fare piazza pulita i “bravi ragazzi” dei Serraino. Di dare una lezione a Salvatore Di Landro, il procuratore generale di Reggio Calabria, e ai giornalisti “cornuti” che scrivono “cose brutte” sulla ‘ndrangheta. È la sintesi brutale dell’operazione “Epilogo” della direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, e delle perquisizioni avviate ieri dalla procura di Catanzaro per fare luce sulla bomba che il 3 gennaio scorso distrusse il portone d’ingresso della procura generale. “Ma tu la sai fare?”, chiede un picciotto al suo compare. “Cosa?”, risponde l’altro. “Questa cosa qua con la bombola di gas”. È la bomba che all’alba del 3 gennaio venne fatta esplodere sotto l’ufficio del procuratore Di Landro.
Perché punire la procura generale? Per la svolta che Di Landro aveva impresso all’ufficio. Uno suoi dei primi atti fu quello di togliere il processo per la rapina ad un furgone portavalori conclusosi con l’uccisione di una guardia giurata, al sostituto procuratore Francesco Neri. Lorenzo Gatto, l’avvocato difensore di uno degli imputati (alcuni legati a doppio filo con la cosca Serraino), era anche difensore di Neri in alcuni procedimenti disciplinari. La storia finisce davanti al Csm e si conclude con il trasferimento del sostituto procuratore con giudizi pesantissimi. “Si è determinata all’interno degli uffici giudiziari di Reggio Calabria una situazione di tensione, disagio e di reciproca diffidenza; una situazione grave, in parte imputabile a condotte consapevoli del dott. Neri”. Nel mirino anche il consenso prestato dal sostituto pg a diversi patteggiamenti ”assai vantaggiosi” per gli imputati senza informare il procuratore generale. Un comportamento, quest’ultimo, che ”avrebbe legittimato il convincimento dell’esistenza, all’interno della procura generale, di magistrati animati da una maggiore particolare ostilita’ nei confronti della criminalita’ rispetto all’atteggiamento piu’ accomodante del dott. Neri, con pericolo per i primi e discredito per tutto l’ufficio”.
Ma i Serraino boys odiavano anche i giornalisti. Uno in particolare, Antonino Monteleone, 27 anni, animatore di un blog antimafia e oggi cronista di “Exit” de “La7”. “È un cornuto – dice nella notte tra il 4 e il 5 febbraio – Ivan Nava, uno degli arrestati nel blitz di ieri. “Mi ha chiamato topo brutto, scrive articoli contro di noi e parla male delle nostre mogli. E’ uno tipo quell’altro, Saviano”. Sono in macchina Nava e Antonio Barbaro insieme ad altri picciotti. Sono sotto casa di Monteleone. Scendono e danno fuoco alla macchina del giornalista. “Da quanto tempo aspettavo questo momento. Sto figlio di buttana!”, esclamano. Chi è contro la ‘ndrangheta a Reggio e chi con i mafiosi ci va a braccetto. C’è un episodio del 31 dicembre 2008 che racconta a che punto è arrivato il rapporto tra boss e politici in Calabria. In una rimessa le microspie del Ros dei carabinieri filmano Franco Russo, detto ‘u massaru, altri accoliti e Antonino Serranò, consigliere comunale di Reggio Calabria eletto in una lista che sostiene l’allora sindaco Giuseppe Scopelliti. Armeggiano con una pistola. “Non va bene”, si lamenta “’u massaru”. “Dipende dal caricatore, fammi vedere”, dice il consigliere Serranò.
I Serraino maneggiavano voti. “Ho raccolto 30mila voti – dice Antonino Alati, detto “’u baba”- con sei-settemila euro 30mila voti. Io sono buono e caro ma sappiano che porto i pantaloni”. Soldi, voti e potere, ne avevano fatta di strada gli eredi di Ciccio Serraino, “Il re della montagna”, da sempre alleato dei Condello. Fu ucciso durante la guerra di mafia nella sua stanza all’ospedale di Reggio insieme al figlio Alessandro. Era il 1986, da allora la famiglia è cresciuta. Ha negozi, case, imprese. Ha conquistato la rappresentanza esclusiva del “Caffè Borbone”, non c’è bar a Reggio e dintorni che non sia costretto a rifornirsi di quella marca. “Io vado al bar e se quello mi dice che non gli serve lo deve comprare lo stesso”. Gli arresti di ieri e le prime perquisizioni della procura di Catanzaro hanno aperto uno squarcio importante sulla strategia della tensione a Reggio. Ma non è tutto. “È pensabile – si chiede Laura Garavini, capogruppo Pd in Commissione Antimafia – che una cosca da sola decida di portare un attacco alle istituzioni di questa portata?”.
(pubblicato su Il Fatto Quotidiano 1 ottobre 2010)