Davanti a quella bara partì una sfida morale

(di Domenico Logozzo)

La lotta alla ‘ndrangheta, deve avere una costante continuità. È forte la richiesta di legalità. C’è l’obbligo di fare chiarezza, sempre e comunque. E non bisogna mai stendere il velo dell’oblio sulle vittime della mafia. Il ricordo diventa un valore del quale non si può fare a meno per capire e fronteggiare il più “grande male” della Calabria. Pagine intrise di sangue, storie agghiaccianti. In questi giorni, dopo la grande mobilitazione del 25 settembre organizzata a Reggio Calabria dal Quotidiano per rispondere alle minacce della ‘ndrangheta contro il procuratore Di Landro e contro i giornalisti con la schiena dritta, il calendario ci rammenta uno dei più terribili episodi di violenza politico-mafiosa del nuovo millennio. Il pensiero va al pomeriggio del 16 ottobre 2005,quando un killer spietato ha ucciso a Locri il vicepresidente del Consiglio regionale della Calabria, Francesco Fortugno. Un uomo scomodo per la “mala-politica”.

Un caso che sconvolse la Calabria e non solo. Ripercussioni a livello nazionale, e clamorosi colpi di scena,come il “suicidio” in Abruzzo,di Bruno Piccolo, il pentito- chiave del processo.Trovato impiccato a Francavilla al Mare. Esattamente due anni dopo il delitto Fortugno. Al quotidiano “Il Centro”, Maria Grazia Laganà, moglie del politico assassinato, dichiarò «Quello che è successo è un fatto gravissimo, inquietante. Non mi ha convinto quando ho appreso a Locri la notizia della morte di Bruno Piccolo, quattro giorni fa. Non mi convince oggi che mi ritrovo qui, a Pescara, a pochi chilometri da dove è avvenuto questo episodio. E devo dire che ogni giorno che passa mi convince sempre di meno» Dubbi di ieri e anche mancate certezze di oggi, bisogno di scoprire fino in fondo tutta la verità ,sia nel caso dell’omicidio Fortugno, che ha segnato il “salto di qualità” dello scellerato patto mafia-politica, e sia in tanti altri delitti eccellenti, che dopo decenni sono ancora avvolti nel mistero. Omertà. Indagini lacunose. Depistaggi. Protezioni. Paura.Non si rassegnano e con grande dignità e compostezza attendono che sia fatta giustizia, su crimini esecrabili, i familiari di uomini valorosi, altruisti ,veri eroi della legalità.

A partire da Peppino Valarioti, il giovane segretario della sezione del Pci di Rosarno ucciso nella notte tra il 10 e l’11 giugno 1980, dopo una cena con i compagni di partito per la vittoria elettorale. Un successo ottenuto in un clima di gravi tensioni politico-sociali. E la conflittualità con le cosche era arrivata a livelli molto alti. Il suo omicidio è rimasto impunito. Un altro militante comunista, una decina di giorni dopo, ha pagato con la vita il “no alla mafia”. Giovanni Losardo, segretario giudiziario della procura di Paola e assessore comunale del PCI a Cetraro, è stato “eliminato” mentre stava tornando in auto a casa ,dopo avere partecipato al consiglio comunale. Punito perché non voleva che la delinquenza organizzata si impadronisse di Cetraro. Il piombo assassino l’ha fatto tacere per sempre. Killer e mandante protetti dalle connivenze. “Nessun responsabile” per la giustizia.

Gravi sconfitte per lo Stato. Sanguinose affermazioni per l’anti-Stato. Eliminazioni scellerate, azioni di forza ignobili,che le giovani generazioni – i tanti ragazzi che il 25 settembre hanno detto “no alla ‘ndrangheta”- debbono conoscere compiutamente ,per capire da dove arriva l’attuale pericolosità delle associazioni criminali che infestano la Calabria. E la condizionano mortalmente .Non devono cadere nell’oblio i sacrifici dei buoni e dei giusti .Si deve avere la forza e il coraggio di chiedere giustizia a uno Stato che non sempre ha garantito i cittadini rispettosi delle leggi. “Confrontandomi con lo “Stato-mafia” mi sono reso conto-scriveva Giovanni Falcone- di quanto esso sia più funzionale ed efficiente del nostro Stato e quanto ,proprio per questa ragione, sia indispensabile impegnarsi al massimo per conoscerlo a fondo, allo scopo di combatterlo ”.E ancora :”Conoscendo gli uomini d’onore ho imparato che le logiche mafiose non sono mai sorpassate né incomprensibili .Sono in realtà le logiche del potere ,e sempre funzionali a uno scopo .Ho imparato ad accorciare la distanza tra il dire e il fare .Come gli uomini d’onore”.

Meno chiacchiere. Più fatti. Meno vetrina. Più concretezza operativa. Quanto sono attuali le lezioni che ci ha lasciato in eredità Giovanni Falcone! Per fortuna in certe Procure i suoi insegnamenti sono messi in pratica. E ci sono anche giornali che al dire preferiscono il fare. I buoni risultati si vedono. Oltre il buio del passato, ci sono infatti alcune luminose iniziative del presente. Ritorna l’ottimismo. Si percepisce la voglia di ”aria nuova” nella società civile. La svolta dopo la grande manifestazione del 25 settembre a Reggio Calabria, nata dalla lodevolissima idea del direttore Matteo Cosenza, e dopo le ultime inchieste della magistratura calabrese, che hanno portato alla luce sconcertanti legami tra cosche, uomini politici e rappresentanti del mondo sindacale. Si scoprono trame inquietanti. Commistioni incredibili. I magistrati hanno risposto alle intimidazioni con efficacia e tempestività. Il procuratore distrettuale antimafia Vincenzo Lombardo, con molta discrezione e grande determinazione sta guidando l’operazione legalità, che giorno dopo giorno mette sempre più in crisi la ‘ndrangheta e i suoi potenti fiancheggiatori.

E’ un lavoro difficile. Complesso. S’incide in realtà dove per decenni il potere criminale ha agito impunemente ed ha raggiunto una potenza tale da pretendere, con la forza dell’arroganza ,di sostituirsi allo Stato. La magistratura calabrese sta restituendo ai cittadini la dovuta fiducia: giudici che senza sosta lottano contro la malavita. E vanno sostenuti. Com’è avvenuto con il Procuratore Di Landro: dall’unanime sdegno contro la vile intimidazione alla solidarietà dei quarantamila che, da tutta la Calabria, hanno raggiunto Reggio, rispondendo in massa all’appello anti-‘ndrangheta del “Quotidiano”.

Il 16 ottobre deve essere un altro giorno fondamentale per affermare che “La nuova Calabria c’è”. Ricordare Francesco Fortugno con un forte richiamo alla politica delle mani pulite e delle coscienze limpide ,contro gli odiosi e oscuri intrecci tra uomini delle cosche e uomini che sono eletti dal popolo per fare gli interessi della collettività ,non della criminalità! Avere la forza ed il coraggio di dire no alla mafia. Cinque anni dopo la vigliacca eliminazione del vicepresidente del consiglio regionale della Calabria, l’operazione-moralità promessa da autorevoli rappresentanti delle istituzioni davanti alla bara di Fortugno, registra significativi successi. Arresti eccellenti e sensibile “bonifica” del territorio.

”Siderno ora è libera, la società civile si deve perciò riappropriare subito e completamente degli spazi che abbiamo tolto alla criminalità ”, ha detto qualche tempo fa il giudice antimafia Nicola Gratteri a Gerace (dove ha presentato con Antonio Nicaso il suo ultimo libro), rispondendo alla domanda di una ex amministratrice sidernese preoccupata “per le possibili ingerenze della mafia nelle prossime elezioni comunali”. Le cosche fuori dalla politica. Basta con il connubio infame. Sostegno alle forze dell’ordine ed alla magistratura che “fanno pulizia” e ai giornalisti che non si vogliono far mettere il bavaglio. Non fermarsi, mai. L’on. Maria Grazia Laganà, plaudendo all’iniziativa del “Quotidiano”, ha opportunamente evidenziato che “bisogna proseguire su questa strada per costruire e dare la spinta ad un movimento stabile di lotta alla ‘ndrangheta, che segua un programma, non astratto e sloganistico, ma concreto e praticabile, e che si ponga l’obiettivo di battere definitivamente il fenomeno criminale. Si può, si deve cominciare a respirare aria pura”. È con questo impegno che il 16 ottobre si deve onorare la memoria di Francesco Fortugno e di tutte le vittime calabresi della “mala-politica”.

(pubblicato su Il Quotidiano di Calabria 11 ottobre 2010)