No al nucleare
(di Francesco Perrella)
Parlando di energia nucleare è facile lasciarsi andare a facili entusiasmi.
E’ un po’ più difficile, invece, andare oltre le campagne demagogiche e fare informazione su quello che è realmente è questa fonte energetica, sui rischi che comporta a fronte delle opportunità che realmente offre: sembra proprio che, mentre nel 1987 gli italiani dissero no al nucleare principalmente sull’onda emotiva del disastro ucraino, ora è la paura a sostiene le ragioni di chi dice si alla sua reintroduzione.
Secondo il piano del governo la costruzione di impianti nucleari nel nostro Paese inizierà entro il 2013, sfruttando una joint venture italo-francese. I cugini d’oltralpe porteranno in dote il loro decennale know-how in fatto di centrali nucleari, mentre al nostro governo spetterà l’ arduo compito di trovare i siti adatti ed i 15 miliardi di euro necessari per costruire ogni centrale.
Senza contare che con queste dichiarazioni Berlusconi abbia saltato a piè pari un referendum abrogativo del 1987, che dei 20 candidati PdL alle regionali del 2010, solamente due si dichiaravano pro-nucleare e soprattutto che i governatori leghisti sembrano voler blindare il nord. Chissà perché, visto che sempre a detta del presidente, “in Francia fanno a gara per avere una centrale vicino casa: porta lavoro e ricchezza”. Sarà, però il nucleare lascia ancora aperti tanti dubbi. Prima di tutto, non è assolutamente vero che l’ introduzione del nucleare risolverà i problemi di indipendenza energetica da altri pesi: le cinque centrali assolveranno ad appena l’8% del fabbisogno nazionale di energia, e soprattutto il prezzo l’uranio è destinato nei prossimi anni ad aumentare in maniera vertiginosa, ed essendone sprovvisti dovremo importarlo dal’ estero; inoltre, una centrale nucleare ha un impatto ambientale molto più alto di quanto si immagini: per funzionare, richiede un approvvigionamento costante di enormi quantità d’acqua, ed a pieno regime emette una quantità non indifferente di radiazioni. Ma il peggiore e non risolvibile svantaggio di una centrale nucleare è l’enorme quantità di scorie che produce.
C’è poco da fare: per quanto le centrali si possano evolvere, non si risolverà mai il problema dei prodotti che derivano dal processo di fissione nucleare; nel migliore dei casi si tratta di 142 kg di scorie ogni 1000 kg di combustibile, ottenuti dopo un lungo processo di ritrattamento, che devono essere sepolti definitivamente nell’attesa che perdano il loro potenziale radioattivo: un tempo inimmaginabile, mezzo milione di anni. E non esiste al mondo (e nemmeno in Francia) un deposito sicuro e soprattutto definitivo, ma solamente siti di stoccaggio temporanei, per il semplice motivo che nessuna struttura può durare cosi tanto nel tempo. Lo stoccaggio è dunque un processo pericoloso e estremamente costoso.
Viste queste premesse, chi farà a gara per avere un deposito di scorie dietro casa sua? E, soprattutto, cosa accadrà quando le eco-mafie metteranno le mani anche sullo smaltimento dei rifiuti radioattivi? Se il nucleare può servire da “tampone” nell’attesa che le rinnovabili diventino una fonte energetica concreta per i Paesi che già dispongono di centrali, attivare una centrale tra venti anni è un investimento del tutto insensato, soprattutto se consideriamo che l’ UE ci ha chiesto per quella data di attingere per il 20% del nostro fabbisogno energetico da fonti rinnovabili. Ed è quantomeno paradossale che l’Italia, uno dei paesi che maggiormente può disporre di risorse naturali come sole e vento, non sia già all’avanguardia in questo settore.