Il governo dei picchiatori

Il 7 luglio 2010 verrà ricordato nella storia come il giorno della vergogna di Silvio Berlusconi e del suo governo. Hanno usato la tragedia di un popolo intero, i suoi lutti, le sue ferite, le sue lacrime e trasformato un terremoto in un set televisivo. Una perenne televendita sugli effetti miracolosi del governo del fare. Ma quando gli sfondi azzurri della fiction sono venuti via sono rimaste, tutte intatte, le macerie di una città agonizzante. E i volti della sua gente, gli uomini e le donne, gli anziani e i giovani, cui era stato promesso di tutto, case, sviluppo, lavoro, cultura.

Sono gli abruzzesi, li hanno depredati di tutto, anche del diritto al futuro. Lo champagne, le inaugurazioni del regime, i sorrisi e le battute di Berlusconi sulle macerie andavano bene per l’Italia distratta, non per il popolo dei terremotati. Che da mesi ha capito: peggio del terremoto è l’inganno di una ricostruzione fatta a misura della propaganda di regime e degli interessi delle cricche. Volevano risposte, gli aquilani, e le cercavano sotto Palazzo Grazioli, la reggia del sultano.

In quelle stanze rallegrate da  musici da quattro soldi, faccendieri-lenoni come Giampi Tarantini, soubrette alla ricerca di una comparsata, escort felici di rotolarsi nel lettone dell’amico Putin, non c’è posto per loro e per l’Italia vera, quella dei mille disagi. E allora giù bastonate, scudi in faccia, calci. La fiction berlusconiana è alle ultime puntate, ora le buffonate di regime lasciano il posto al manganello.

(pubblicato su Il Fatto Quotidiano 8 luglio 2010)