Governo, intercettazione e azione politica

(di Elia Fiorillo)

”La politica non conosce né risentimenti personali, né lo spirito di vendetta. La politica conosce solo l’efficacia”. E’ una vecchia massima che oggi, a guardar bene quello che sta avvenendo a livello governativo, avrebbe bisogno di essere applicata alla lettera. Sembra, invece, che le ripicche personali e le rese dei conti, più o meno definitive, siano all’ordine del giorno. Mentre l’efficacia dell’azione politica, della gestione dei problemi, langue. Un esempio per tutti ci viene dal ddl intercettazioni, diventato un vero e proprio feticcio. Una norma che scontenta un po’ tutti – giornalisti, magistrati, forze dell’ordine – ma che trova una difesa ad oltranza da parte del Governo che la vede come una legge simbolo. Qualcosa d’immodificabile. Non perché aggiustamenti dettati dal buon senso siano cosa devastante per l’impianto stesso della normativa e per la sua efficacia operativa, anzi. Ma perché tal modo di agire rappresenterebbe un’abdicazione alle forze dissenzienti interne al Pdl – a partire dal presidente della Camera Fini -, che ipotizzano emendamenti migliorativi in sintonia con le richieste che vengono dall’opinione pubblica.

Che un giudice monocratico possa infliggere, anche se in prima istanza, un ergastolo e per converso c’è bisogno di tre giudici per definire un’intercettazione è qualcosa di anormale sul piano dell’equilibrio democratico. Sul fronte poi dell’efficienza della macchina giudiziaria, sinistrata come non mai, l’ipotesi di ”prorogatio” delle intercettazioni ogni tre giorni, dopo i 75 iniziali, con riunione del solito tribunale collegiale, avente sede nelle città capoluogo di distretto, è una mostruosità organizzativa. Un assurdo che ”burocratizzerebbe” al massimo le autorizzazioni finendo di raggiungere l’obiettivo opposto a quello che si voleva tutelare. Cioè la ”concessione responsabile” dell’intercettazione si potrebbe trasformare in ”autorizzazione burocratica” nella maggior parte dei casi. Con, ovviamente, l’eccezione di quelle vicende dove i nomi in campo sono di primo piano. Insomma, il rischio è quello di tutelare ”le caste” lasciando al loro destino i poveri cristi. Anche la tanto invocata segretezza ne risentirebbe per gli innumerevoli passaggi che le ”carte” subirebbero. Forse sarebbe stato più utile prevedere il tribunale collegiale nel caso delle proroghe alle intercettazioni, dando la possibilità a quest’ultimo di stabilire anche i termini della dilazione in base a valutazioni oggettive.
Per non parlare poi delle gravissime limitazioni al diritto-dovere dell’informazione. La Fnsi, il sindacato unitario dei giornalisti, ipotizza azioni di disubbidienza civile se la norma passerà. Sarà quasi impossibile che ciò possa avvenire perché, con tutta la buona volontà dei giornalisti disposti anche ad andare in galera, gli editori trasformeranno le redazioni in studi legali, dove le notizie saranno soppesate nei minimi particolari per evitare le previste salatissime ammende. Il vero problema, di cui i giornalisti dovranno comunque farsi carico nei fatti, è come tutelare quei soggetti che non c’entrano con le indagini e che però sono intercettati e ritrovano le proprie conversazioni telefoniche, a volte delicatissime, riportate integralmente sui giornali, con danni incalcolabili per loro e le loro famiglie. Qui dovrebbe intervenire con mano pesante l’Ordine dei giornalisti ai vari livelli, con immediatezza e con pene severissime, radiazione compresa. Solo così la categoria si renderà credibile agli occhi dell’opinione pubblica. Eppoi ci sono le intercettazioni illegali, utilizzate per i più variati scopi. La problematica va scandagliata con grande attenzione e, comunque, vanno inasprite le pene dei colpevoli di questi reati.

La pazienza ha sempre un limite. Specialmente quando si è ”pazientato” tanto. E’ il caso del presidente della Repubblica, che sulle intercettazioni manda al Governo un messaggio chiaro nella sua essenzialità. Non formulerà nessun suggerimento preventivo sul ddl. Non ci sarà alcun ”tira e molla” sulle modifiche da apportare gradite al Colle, com’è già avvenuto per altri delicati provvedimenti. Se il Capo dello Stato firmerà o no il provvedimento dipenderà solo dai contenuti della legge che il Parlamento produrrà. Anche nell’atteggiamento di Napolitano c’è un qualcosa d’emblematico che va al di là del ddl sulle intercettazioni. Ad una maggioranza rissosa che non riesce a trovare unità, per lo meno operativa, mettersi a discutere per trovare soluzioni condivise può diventare molto delicato per l’immagine stessa dell’alto magistero che Napolitano rappresenta.