Cronache di Sicilia
Oggi una manifestazione che si svolgerà a Roma ma che ha prodotto eco anche in altre città, servirà a dire di no “a chiare lettere” al bavaglio che si vuole mettere all’informazione. Il prossimo 9 luglio a marcare ancora di più la protesta sarà lo sciopero dei giornalisti indetto dalla Fnsi. Altri appuntamenti dovranno essere organizzati per stoppare il disegno del Governo e della maggioranza – che secondo me è più larga di quella sulla carta mantenuta dal centrodestra, perché anche dall’altra parte c’è chi su stampa e giornalisti non la pensa diversamente ma che non si palesano per convenienza – che è quello di creare uno scenario dove l’informazione possa essere fatta con le veline e i comunicati stampa e se c’è proprio da scrivere di qualche arrestato con foto e dovizie di particolari per questo ci saranno solo ladri di galline, spacciatori e disgraziati clandestini. La mafia e la corruzione potranno essere raccontati ma a tempo debito, forse, certamente quando ci saranno le sentenze definitive, e cioè un decennio abbondante dopo gli arresti (se mai sarà possibile farli) sempre che i soliti cavilli – quelli della serie, il “giusto processo”, il “processo breve” – non facciano slittare processi, facendoli ripetere all’infinito, e in questo caso nemmeno due lustri saranno sufficienti per arrivare alla definitiva decisione e quindi alla possibilità che la pubblica opinione possa essere adeguatamente informata, nel frattempo, ignara, magari si sarà tenuta il politico, il professionista, il commerciante, l’imprenditore, accusato e coinvolto in fatti di mafia, di corruzione, di sperperi vari, anzi questi eventualmente potranno indisturbati continuare ad agire, magari pure guardandosi attorno con veri e propri sberleffi alla faccia della brava gente.
Oggi ci accorgiamo del pericolo del bavaglio, io penso con molto ritardo. Il bavaglio c’è da tempo e per essere applicato non ha avuto bisogno di norme e regole scritte. Provate a parlare con i cronisti di periferia, quelli delle provincie, se già non hanno avuto imposto il bavaglio qualche fatto potranno raccontarlo. Venite in Sicilia a chiedere cosa accade. Vi potranno raccontare del lavoro spesso condotto senza una copertura contrattuale, senza contributi assistenziali e previdenziali, pagamenti in nero, collaborazioni che ai tempi della lira veniva retribuite con 5 mila lire al massimo per pezzo e che ai tempi nostri sono diventati 2 euro quando finisce bene, intere redazioni rette da giornalisti senza tessera che non significa per questo privi di professionalità, solo che per il datore di lavoro, che già è tanto poterlo chiamare così, figurarsi se si possa parlare di editore, è più facile mantenere un certo controllo col ricatto di far venire meno il centinaio di euro di stipendio (in nero). Giornalisti che sono cresciuti convinti che è normale che un sindaco, un politico, possano telefonare e dettare il pezzo che deve uscire, sindaci e politici che nel tempo si sono convinti che non fa il proprio dovere il giornalista che invece non si comporta in questa maniera. In Sicilia il bavaglio ha avuto anche l’odore acre della polvere da sparo, il tanfo del sangue, l’olezzo della morte. Giornalisti finiti ammazzati dal solito potere cresciuto tra mafia e poteri forti. Giornalisti che non volevano il bavaglio e che sono stati ammazzati, Spampinato, Fava, Francese, Rostagno, Impastato, Alfano, per fare alcuni nomi, lontano dalla Sicilia impossibile dimenticare Walter Tobagi, ammazzato dai terroristi.
La lotta per l’informazione in Sicilia deve avere una connotazione in più che nel resto d’Italia. Qui si cerca di fare i giornalisti in un territorio dove davanti ai morti ammazzati ci sentivamo dire che la mafia non esisteva e oggi che la mafia è sommersa ci raccontano che è sconfitta e che preso l’ultimo dei latitanti, Matteo Messina Denaro, Cosa Nostra avrà smesso di esistere. Intanto però da queste parti chi dice che Messina Denaro deve esser preso e consegnato al carcere a vita, si è visto bruciare la casa o si è visto portare da mani anonime buste con proiettili direttamente sul tavolo da lavoro. Qui se si scrive che Messina Denaro è circondato da una “cricca” di insospettabili e se alcuni di questi vengono arrestati, immediatamente scorre un fiume di incredulità. Qui un senatore della Repubblica, finito sotto inchiesta per mafia, concede oggi più apparizioni pubbliche di quanto non ne concedeva prima, come a dire, sono qui, libero e potente, e la gente, contenta applaude. C’è chi prova a raccontare queste cose scrivendole sui giornali, c’è chi non ci prova affatto, c’è chi deve scrivere le cose a metà, e c’è chi è pronto a smentire ogni cosa, o c’è chi il bavaglio se lo mette senza nemmeno bisogno che qualcuno glielo dica di fare, capisce l’andazzo e si adegua da solo. Ovviamente i più inaffidabili tra i giornalisti sono coloro i quali che, carte giudiziarie alla mano, raccontano, senza bavaglio, il lavoro di magistrati ed investigatori. Questi passano subito come professionisti dell’antimafia, e però dei professionisti non hanno nulla, certamente non i benefit dei veri professionisti, quelli che magari con la mafia fanno gli affari.
Tutto questo si produce da decenni, da quando lo stesso Rostagno veniva guardato in cagnesco da alcuni dei suoi stessi “colleghi” – lui era senza tessera, gli altri l’avevano in tasca – quando ogni giorno compariva davanti alla telecamera di Rtc non per raccontare di grandi scandali, grandi compromissioni, ma dei malcostumi locali, del consigliere che prendeva la mazzetta in cambio di un posto di lavoro, oppure raccontare del processo a quello che solo anni dopo verrà riconosciuto come potente campo mafia del trapanese: Mariano Agate. Rostagno raccontava della sporcizia per le strade, del degrado del centro storico, di tutto quello che gli veniva sotto gli occhi. Probabilmente stava per raccontare altre cose: la trasformazione della mafia, i traffici di armi con gli aerei militari. Era circondato dai lupi, ci ha raccontato il capo della Squadra Mobile Giuseppe Linares, che ha condotto l’ultima parte delle indagini su questo delitto, e i lupi lo hanno azzannato a morte. Oggi i lupi, a Trapani, la mia terra, continuano ad esserci, non sparano più, azzannano ugualmente con la maldicenza, con le bugie, cercando di sporcare l’onesto lavoro condotto oramai da pochi. Le intimidazioni arrivano, eccome, ma in “nome della legge”, fatte da uomini delle istituzioni che dovrebbero avere ben altri interessi invece di quelli di proteggere qualche mammasantissima in grisaglia e magari con addosso anche la fascia da sindaco.
Qui raccontare di una cittadinanza onoraria non concessa ad un prefetto che ha sfidato la mafia, a fronte di una cittadinanza onoraria concessa a chi in tv ha parlato delle bellezze di Trapani, preferendo a quelle architettoniche quelle più mangerecce delle arancine, si trova a rispondere di danni morali e danni biologici provocati per 50 mila euro. Qui viene dato del mafioso a chi racconta delle malefatte di un politico che ha saccheggiato la propria città e che è uscito indenne da un processo di mafia solo perché a “partita in corso” sono cambiate le regole processuali. Qui per scrivere di un politico appena prescritto dall’accusa di essere stato corrotto dai mafiosi, che come primo atto ritiene giusto rendere visita al presidente Berlusconi, ci si sente dire che si è scritto di una notizia inesistente. In questa provincia vengono eletti sindaci arrestati per combutta con soggetti para mafiosi, e che però sono stati assolti perché i giudici hanno ritenuto abusiva una intercettazione.Qui, a Trapani sempre, si fanno le manifestazioni in nome della legalità senza pronunziare la parola mafia. Il fatto drammatico è quello di scoprire che queste cronache sui giornali non le trovate. Il bavaglio funziona, eccome.
Allora si deve lottare perché il bavaglio non venga posto ma ci si deve impegnare perché laddove, come in Sicilia, questo bavaglio è stato messo, venga presto rimosso, tolto. Questa deve essere la caratteristica in più per la Sicilia in questo giorno di protesta. Lo dobbiamo fare per i tanti siciliani onesti che non ne possono più di mafia e mafiosità, che non riescono a indignarsi quando leggono le intercettazioni e i loro contenuti, e finiscono con l’essere travolti dalla minoranza che invece a fronte di questi contenuti vanno dicendo in giro che sono “tutte minchiate”. E’ sotto gli occhi di tutti che oggi nemmeno una condanna induce al silenzio chi la subisce, anzi si festeggia, con i cannoli o facendo passare per eroi chi eroe non lo era ma mafioso sicuramente.
La Sicilia è travolta dagli equivoci che però non possono essere appieno raccontati per essere dimostrati. Trapani, poi, è ricca di questi esempi, ma pochissimi provano a indicarli e se lo fanno sanno che presto o tardi un prezzo da pagare lo avranno, se le cose non cambiano.
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