Molise precario: una regione in crisi
(di Massimo Campanella)
Sono più di cinquanta le aziende tra grandi, medie e piccole costrette a ricorrere alla cassa integrazione straordinaria per fronteggiare la crisi. Ittierre, Geomeccanica, Manuli, Proma, Sata Sud, Fili Nobili, Solagrital, tanto per citare le più note. Indefinibile il numero di quelle che non riescono a corrispondere con puntualità gli stipendi. Le ristrettezze economiche, la mancanza di prospettive agitano e rendono precarie le esistenze di molti lavoratori e delle loro famiglie. Le difficoltà, la paura di perdere il lavoro, le frustrazioni di chi è costretto a convivere con la crisi che sta martoriando la regione. La storia di uno è la storia di tutti. Ve la raccontiamo
Giovanni ha gli occhi stanchi, lo sguardo sfuggente. Si sente defraudato della dignità, ferito nell’orgoglio. Alla soglia dei sessanta, dopo quasi trenta di duro lavoro in fabbrica, non avrebbe mai immaginato di dover ripartire dai conti sulle dita di una mano, per tirare avanti fino al termine del mese con gli ottocento euro della cassa integrazione, senza dover subire l’umiliazione di chiedere aiuto a parenti, amici o, addirittura, agli anziani genitori. Racconta la sua storia, agita mani massicce, scopre polsi e avambracci ingrossati a dismisura, segno inequivocabile del pesante lavoro fisico svolto per anni in reparto. Una moglie casalinga, due figli ormai trentenni e ancora da sistemare – precari come tanti altri giovani da queste parti – una casetta di proprietà, tirata su mattone per mattone a costo di enormi sacrifici. A Giovanni (il nome è di fantasia per difendere, dice, il briciolo di dignità che ancora gli resta) la casa non l’ha mai pagata nessuno, “mica sono ministro” ironizza con un sorriso a metà tra il sarcastico e l’amaro.
Una vita da operaio all’Arena di Bojano, paese di ottomila abitanti della provincia di Campobasso. Assunto nell’industria agroalimentare più di venticinque anni fa, quando era ancora giovane e con braccia che, ricorda, avrebbero potuto sollevare montagne.
Giovanni ha iniziato alla “sosta vivo”, il reparto in assoluto più duro, più sporco, più puzzolente. Il lavoro consisteva nel tirare fuori dalle gabbie le centinaia di polli vivi che arrivavano in azienda dagli allevamenti e appenderli per le zampe, a testa in giù, ai supporti della catena che li trasportava all’interno per le operazioni di macellazione. All’epoca l’industria si chiamava Sam, era una spa e per i lavoratori della zona rappresentava un po’ il “sogno americano”. Buone paghe, turni di lavoro regolari, tredicesime, premi di produzione. Insomma, tutto quanto previsto dal contratto nazionale del comparto. Sogno americano per i lavoratori, miniera inesauribile del favore di scambio per politici e faccendieri che fin dall’inizio hanno imbrigliato nelle pastoie della politica una delle più importanti attività produttive del Molise, trasformandola da potenziale volano dello sviluppo in palude limacciosa o, se preferite, pozzo senza fondo per le casse pubbliche.
La vicenda di Giovanni – troppo giovane per la pensione, troppo anziano per ricominciare altrove – assomiglia a quella di tanti altri lavoratori molisani che oggi subiscono in silenzio, con rabbia, gli effetti collaterali della crisi che investe numerosissime realtà produttive, in una regione martoriata dalla disoccupazione e dall’emorragia dei posti di lavoro nelle imprese, morse dalla congiuntura economica negativa a livello globale, e soffocate dal sistema gelatinoso nato dall’interazione tra un certo modo di fare politica e una classe di “capitani d’industria” capace di rischiare e fare impresa solo con i capitali pubblici. Tra grandi, medie e piccole sono più di cinquanta in Molise le aziende che nel corso degli ultimi mesi hanno dovuto cercare riparo sotto l’ombrello della cassa integrazione straordinaria in deroga: Ittierre, Geomeccanica, Manuli, Proma, Sata Sud, Fili Nobili, Solagrital, tanto per citare le più note.
Arena, Agripol, Sam, Solagrital. Una storia infinita.
Una vicenda lunga e controversa quella della presenza pubblica nella storica industria bojanese della filiera avicola, segnata da molti insuccessi, crisi profonde e resurrezioni miracolose. Impiantata nella piana matesina agli inizi degli anni ’70, l’Agripol (così era denominata negli atti parlamentari, in una discussione alla Camera dei deputati nel marzo del 1971) inizia il suo cammino con il ben preciso compito di diventare volano dello sviluppo nel Molise centrale, grazie al know how portato in dote dal gruppo veronese Arena e ad un complesso quadro di interventi strutturali per il Mezzogiorno, a sostegno delle aree depresse del Sud. Fin dall’inizio, la gestione “politica” del personale e quella quanto meno discutibile delle ingenti risorse economiche messe a disposizione dello stabilimento di Bojano, delimita ben presto gli argini entro i quali l’impresa è destinata a confluire.
Presto il suo nome muterà in Sam, società per azioni controllata quasi interamente dalla Regione Molise, e produrrà, come da accordi, esclusivamente per Arena, garantendo occupazione a oltre 1500 persone tra operai, amministrativi e indotto. Agli inizi degli anni ’90, l’evidente sovradimensionamento del personale impiegato e le difficoltà di un mercato sempre più competitivo e saturo, trascinano la Società agricola molisana spa, e l’economia di un’intera area, nel baratro di una crisi profonda. Ne consegue un lungo e travagliato periodo di amministrazione straordinaria, seguito da un riassetto ‘lacrime e sangue’ operato a colpi di tagli al personale, prepensionmamenti e scivoli all’uscita. A metà degli anni Novanta lo stabilimento di Bojano e la sua filiera produttiva sembrano risorgere dalle ceneri. Sulla scena esordisce il connubio politico-imprenditoriale Arena/Solagrital salutato da molti come l’inizio di una nuova era. Il marchio veronese finisce nelle mani dell’imprenditore molisano Dante Di Dario che si occuperà, attraverso le sue holding, dell’aspetto commerciale. Sull’altro fronte la Solagrital, società cooperativa a responsabilità limitata, saldamente controllata dalla Regione Molise, gestirà la parte relativa al personale e agli impianti tramite un consiglio di amministrazione di sua piena fiducia. Nel connubio Arena-Solagrital, a soffrire non è mai lo storico marchio veronese, ma sempre il partner pubblico. Così, mentre Arena macina successi e utili, fino a volare in Piazza Affari, la Solagrital continuerà ad arrancare, con la Regione sempre pronta a offrire stampelle finanziarie alla cooperativa e ai suoi lavoratori, tornati nel frattempo alla quota “politica” di 1500 unità, tra effettivi, avventizi e indotto.
La storia più recente, quella dell’ultima crisi, dei 200 e più cassintegrati e delle inaspettate dimissioni di Di Dario da presidente del Cda Arena, racconta soprattutto del nuovo tentativo di rilancio esperito dalla Regione Molise. Un percorso iniziato nel 2009 con la riunificazione delle varie parti dell’azienda, frazionata tra molti protagonisti, e conclusosi con la delibera 210 del 25 marzo scorso. In buona sostanza, riassumendo e semplificando complicati passaggi finanziari, al termine di un’operazione da 37 milioni di euro, lo stabilimento di Bojano finisce nelle disponibilità della Gam srl, società inattiva a totale controllo della Regione che ha come “mission” il coordinamento dell’intera filiera avicola molisana. Contemporaneamente, cessa l’esclusiva a favore di Arena, attraverso la Codisal, della commercializzazione dei prodotti lavorati dalla Solagrital. Un’operazione complessa, di alta finanza, non priva di rischi, duramente contestata dalle opposizioni di centrosinistra che disapprovano il metodo usato: passaggi poco comprensibili, un atto portato in Consiglio in tutta fretta e senza il necessario passaggio per le Commissioni, tanto che ad esprimere riserve sono anche due consiglieri di maggioranza, Pietracupa e Tamburro di Alleanza di Centro, i quali al momento del voto prudentemente si assentano.
Un altro giro di giostra
Il nuovo assetto societario della Gam/Solagrital/Arena e le operazioni politico-finanziarie che lo sottendono sono argomenti che non appassionano più di tanto Giovanni. Nemmeno gli importa sapere se Dante Di Dario va via o resta, oppure se i polli che lavorerà in futuro saranno per Aia o Tre Valli. In attesa che si materializzi il nuovo miracolo economico molisano, le sue preoccupazioni sono altre, tutte concentrate sul domani, non tanto – o non solo – il suo. In fondo in fondo, medita, bene o male un giro di giostra lo ha percorso. A procurargli angoscia ora è il pensiero di come arrivare a fine mese con ottocento euro, è il futuro opaco, precario, senza prospettive, senza vie d’uscita che attende i figli trentenni e tanti altri giovani nelle loro stesse condizioni.
Il Molise, la sua terra, gli appare improvvisamente ostile. Delusione, frustrazione e rabbia lo accompagnano costantemente nelle giornate da cassintegrato, alla soglia dei sessanta.
Interrompe qui la sua storia. Non ha più molto da dire e, forse, nemmeno più tanta voglia di raccontare. Si è fatto tardi. Ci salutiamo con una vigorosa stretta di mano, senza dire niente, senza aggiungere altre parole. Domani è un altro giorno, un altro duro giorno senza lavoro, senza prospettive.