De Magistris e le intercettazioni
(di Paolo De Chiara)
“Il popolo c’è. E quando il popolo è presente c’è motivo per essere ottimisti. E se il popolo si mette in movimento lo siamo ancora di più tutti quanti”. In questo modo è intervenuto, qualche giorno fa ad Isernia, l’ex magistrato di Catanzaro, oggi europarlamentare, Luigi de Magistris. Toccando con mano lo sconforto (per l’attuale situazione del nostro Paese e del nostro piccolo, ma sfortunato, Molise) delle tante persone intervenute alla presentazione del suo libro Assalto al Pm (Chiarelettere, 14,00 euro). Insieme all’ex componente della commissione antimafia Lorenzo Diana e al direttore di Altromolise.it Antonio Sorbo. Nel corso dell’incontro non poteva mancare il riferimento all’ex collega, già governatore forzista della Calabria, Giuseppe Chiaravalloti, indagato proprio da de Magistris per associazione per delinquere nella famosa inchiesta Poseidone. In un’intercettazione telefonica, registrata il 16 novembre 2005 con la sua segretaria, l’ex presidente parla in questi termini del suo collega: “Questa gliela facciamo pagare… lo dobbiamo ammazzare. No, gli facciamo cause civili per danni e ne affidiamo la gestione alla camorra napoletana… saprà con chi ha a che fare… c’è quella sorta di principio di Archimede: a ogni azione corrisponde una reazione… siamo così tanti ad avere subìto l’azione che, quando esploderà, la reazione sarà adeguata!… Vedrai, passerà gli anni suoi a difendersi…”.
L’intera intercettazione è contenuta nel libro, impreziosito dalla prefazione del giornalista Marco Travaglio e dalla postfazione del magistrato antimafia Antonio Ingroia. L’autore di quella “profonda” conversazione è stato messo sotto inchiesta anche dai magistrati di Salerno per corruzione giudiziaria e minacce. “Chiaravalloti nonostante sia o sia stato indagato, non sto seguendo più di tanto le vicende giudiziarie, per fatti gravissimi e oltre ad essere l’autore delle minacce, attualmente è vice-presidente dell’Autorità nazionale per la privacy. Il motivo fondante della legge per le intercettazioni. Ci sarebbe già questo per non discutere su questa legge”. Per de Magistris la profezia di Chiaravalloti si è avverata: “Non mi avvalgo del legittimo impedimento. Ancora oggi, a distanza di anni, complessivamente, sono stati aperti sulla mia vicenda cento procedimenti. Nel momento apicale di Mani Pulite, mi hanno raccontato i colleghi, al massimo hanno potuto raggiungere i trenta-quaranta procedimenti penali a testa. Dobbiamo aggiungere i procedimenti disciplinari. Sono stato messo sotto procedimento disciplinare perché avevo osato dire la verità, accertata dalla Procura di Salerno. Che alcuni magistrati in Calabria sono collusi. Se non lo dice un cittadino che è stato magistrato e che ha visto con i propri occhi, con le proprie mani, con la propria testa e con il proprio cuore la collusione dei magistrati ma chi lo deve dire. Non ci si pone il problema di andare a vedere se è vero. Il fatto solo che abbia osato dire che alcuni magistrati sono collusi, cioè esattamente la verità, perché se la ‘ndrangheta, che conosco meglio per ragioni professionali, non viene sconfitta è per le sue collusioni con la politica, con le Istituzioni, con pezzi della magistratura, con pezzi delle forze dell’ordine, con pezzi dei servizi e con pezzi delle burocrazie. Poi ci sono i procedimenti civili. Ho una causa dove Mastella mi ha chiesto cinque milioni di euro. La profezia di Chiaravalloti si è avverata”.
Ma perché de Magistris ha scritto Assalto al Pm. Storia di un cattivo magistrato? “Ho voluto scrivere questo libro per lasciare una testimonianza. So benissimo come funzionano le cose in Italia, come si disintegrano le indagini, come si polverizzano, come si modifica, come si falsifica. Nel libro c’è la mia verità e il racconto di un uomo e di un magistrato che ha vissuto e pagato in prima persona il torto di aver cercato di applicare, fino in fondo e fino alla fine, senza fare valutazioni di opportunità, la Costituzione e, in particolare, l’articolo 3 che dice che la legge è uguale per tutti”. In questo momento particolare, dove “i deviati sono diventati normali e i normali sono diventati deviati”, è in pericolo, per la legge sulle intercettazioni, l’intero sistema democratico del Paese. “Questa è una legge che ha un obiettivo molto semplice. È fatta per favorire la criminalità, e soprattutto, la criminalità dei colletti bianchi. Questa legge non consentirà più di individuare i reati di mafia dei colletti bianchi, le truffe ai fondi europei. I reati più pericolosi. Tutte le intercettazioni telefoniche non nascono con delitto di mafia. Alla mafia ci si arriva con i cosiddetti “reati fine”.
Per arrivare al delitto di associazione mafiosa si deve cominciare a indagare sulla rapina, sull’estorsione, sull’usura, sull’omicidio, sul traffico di droga. Il tema è quello di portare a compimento il disegno piduista di Licio Gelli sul controllo della magistratura e dei mezzi di comunicazione. Vogliono che il Paese non venga a conoscenza. Per lasciarlo nell’ignoranza, nel pensiero unico, nella normalizzazione. Far passare il messaggio che tutto è normale”. Anche l’ex componente della commissione antimafia, Lorenzo Diana, minacciato di morte dal clan camorristico dei casalesi, non sembra aver dubbi sul provvedimento governativo: “E’ la pretesa di tagliare le mani, di fermare le inchieste della magistratura e quindi la pretesa delle mani libere negli affari, nell’illegalità. La pretesa di mettere il bavaglio ai giornalisti e ai giornali perché non forniscano informazioni. Non siamo di fronte a fenomeni nuovi. Già Gramsci e molti studiosi liberali hanno parlato dei tentativi eversivi di pezzi di classe dirigente e di pezzi di borghesia stracciona come questa. Rozza, che non accetta nemmeno di stare dentro le regole. Esiste la pretesa di essere intoccabili. Quelli che vogliono muoversi senza alcuna regola, senza alcun rispetto delle leggi dello Stato, per imporre il proprio dominio, le proprie logiche affaristiche dentro le Istituzioni. Questo deve far riflettere i cittadini. Chiunque abbia a cuore un impianto di Stato che possa rispondere meglio agli interessi generali e a garantire i diritti dei cittadini non può che ribellarsi rispetto a quanto sta avvenendo nel Paese”. Lo stesso concetto espresso dal maestro del cinema italiano Mario Monicelli, nella trasmissione di Santoro Rai per una notte (realizzata per rispondere alla decisione censoria del servizio pubblico di non mandare in onda i programmi di approfondimento durante la campagna elettorale per le Regionali): “Spero che il nostro film finisca con quello che in Italia non c’è mai stato… una bella rivoluzione…”.
Per l’europarlamentare è necessaria una differenza fondamentale: “Fino alla morte, oltre che alla Costituzione, difenderò l’indipendenza, il pluralismo e la libertà dell’informazione, l’indipendenza e l’autonomia della magistratura, ben nella consapevolezza che ci sono giornalisti e magistrati che meritano queste libertà e magistrati e giornalisti che se la privano e che sono indegni di fare questi mestieri. Alcuni giornalisti sono megafono della propaganda di regime e alcuni magistrati sono il collante giudiziario di un disegno criminale e immorale che sta massacrando la nostra democrazia”. È necessaria, quindi, quella cultura della legalità auspicata dall’ex presidente della Commissione Antimafia, Giuseppe Lumia, sotto scorta per le minacce di morte della mafia siciliana. Ma cos’è la legalità? “Le più grandi nefandezze non avvengono con la mafia delle coppole e della lupara, ma le più gravi operazioni stanno avvenendo con l’istituto della legalità. Quando mi chiedono di parlare di legalità comincio ad avere un po’ di imbarazzo. Perché legalità è la legge sulle intercettazioni, il lodo Alfano, il processo breve, il legittimo impedimento, la modifica dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, i tagli alla scuola. Non avvengono con moti eversivi di piazza, ma attraverso leggi. Diceva Giovanni Falcone che senza una straordinaria mobilitazione culturale e civile le mafie e il malaffare, la corruzione non le sconfiggiamo”. Ed ecco di nuovo comparire il senso civico dei cittadini. L’impegno di ciascuno di noi per cambiare veramente le cose. “È chiaro che ci vuole una grande mobilitazione. Possono comprare tutto, ma non la coscienza e la dignità delle persone. Non critico chi non se la sente, perché mi rendo conto che di fronte a questo tsunami istituzionale qualcuno dice “io non ce la faccio, non reggo”. Ma chi sente dentro una fiamma civile deve fare qualcosa in più. Trovare forme di protagonismo attivo, di cittadinanza attiva, di partecipazione democratica nelle forme che ritiene più idonee alla propria indole.
L’ultimo segmento che ci è rimasto è la coscienza civile di un popolo in movimento, come ci consegna quell’immagine straordinaria del Quarto Stato. Dobbiamo mettere in moto una pacifica e sana ribellione sociale. Ci dobbiamo ribellare di fronte alle ingiustizie manifeste. Lo dobbiamo fare per noi stessi, ma ancor di più, per chi viene dopo di noi”.
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