Nuova fuga dal Sud. Un primo maggio da anni sessanta

( 1 maggio a Rosarno)
“Partiamo da qui, dal buco nero dell’Italia:la Calabria. E sarà un viaggio durissimo.” Antonio Calogero è il segretario della CGIL di Gioia Tauro, dalla sede del suo sindacato- una specie di Fort Apache in un deserto di ‘ndrangheta, disoccupazione, lavoro nero e sfruttamenti bestiali di immigrati – assieme ai suoi compagni ha dato l’anima per la riuscita di questo Primo Maggio. “il clima è terribile, gli arresti di questi ultimi giorni (dai caporali neri a quelli bianchi che sfruttavano i braccianti degli aranceti, ai vertici della famosa famiglia Pesce) hanno fatto salire la tensione. Ci vedono come i soliti comunisti, gli amici degli sbirri”. Non sarà un Primo maggio rituale, una sfilata come tante, assicurano i sindacati.
Il Sud è una polveriera e la Calabria rischia di essere la miccia pronta a far esplodere tutto. I segnali degli ultimi giorni parlano chiaro, quella folla davanti alla Questura di Reggio che applaude un boss arrestato, è il più allarmante di tutti. “Rischiamo di scivolare sempre più giù”, dice Vera Lamonica, calabrese e responsabile del Mezzogiorno per la CGIL. “Quegli applausi ci dicono che una porzione ampia della società in Campania, Calabria e Sicilia, ha perso ogni speranza nella politica e nello Stato e rischia di affidarsi alla criminalità”. Analisi allarmanti, le statistiche valutano intorno al 10% la quota di popolazione nelle tre regioni dell’inferno meridionale che vivono dei proventi ( illeciti o formalmente leciti) di mafia, camorra e ‘ndrangheta. E, come in uno specchio della maledizione, in Calabria si riflette la ricchezza estrema della ‘ndrangheta, che l’Eurispes calcola in 44 miliardi di euro, il 2,9% del PIL italiano- con la povertà che investe fasce sempre più larghe della popolazione. Il 30,6% dei calabresi- giovani, anziani occupati e non- versa in uno stato di parziale o totale disagio economico.
“In queste proporzioni- è l’analisi di Raffaele Rio, presidente di Eurispes Calabria- si va delineando un accrescimento del rischio anche nei confronti di quei gruppi sociali che fino a qualche tempo fa erano ritenuti al riparo della povertà. Il ceto medio, pur godendo di vita accettabili, vive in uno stato di precarietà tale che un evento critico, non essendo sufficienti le riserve a disposizione, può far crollare il tenore di vita. Gli appartenenti a questa classe rischiano di passare rapidamente dall’essere non poveri oggi all’essere poveri domani”. Non solo ceto medio: ai vecchio poveri si aggiungono nuovi protagonisti del disagio sociale. Rio li chiama oi “woorking poors”, persone che pur avendo un’occupazione professionale hanno un tenore molto vicino a quello di un disoccupato, poiché il salario risulta inadeguato a vivere dignitosamente”. Lavorano, insomma regolarmente, ma il loro reddito non è sufficiente per coprire le spese minime necessarie.
“Il Sud rischia grosso, oggi più di ieri”, commenta la sindacalista Vera Lamonica “C’è il rischio che la crisi economica si scarichi tutta su il Mezzogiorno. Gli effetti già si vedono. Nel 2009 almeno 40 mila giovani meridionali che avevano trovato un lavoro, anche precario, al Nord hanno rifatto le valigie e sono tornati a casa ad aspettare un lavoro che rischia di non arrivare mai”. Dati drammatici che vengono tenuti nascosti nel tempo degli egoismi leghisti e della separazione. L’Italia a colori degli anni duemila somiglia sempre più a quella in bianco e nero di “Rocco e i suoi fratelli”. Il numero degli emigranti che sono partiti dal Sud al Nord nel 2008 ( 295 mila) è quasi uguale a quello dei meridionali che emigravano agli inizia degli anni sessanta, 300 mila. “Dati che ci dicono che oramai il Sud è già un altro pezzo di Paese. E penso al federalismo, quello spinto che vuole la Lega: cancellerà non solo il presente del Mezzogiorno ma anche il futuro “.
Un paio di anni fa la Svimez fece un po’ di conti e calcolò le conseguenze devastanti del federalismo sulle regioni meridionali. La perdita delle risorse “attribuite per il Mezzogiorno per le funzioni non essenziali sarebbe ridotta di oltre un miliardo di euro, passando dal 46% al 27% del totale, mentre le Regioni del Centro-Nord sarebbero decisamente avvantaggiate ( con una crescita di risorse dal 54% al 72%). La regione più penalizzata sarebbe la Calabria, gli stanziamenti destinati crollerebbero dal 10,5 al 3,95%”. In pratica su “1097 milioni di euro in meno destinati al Mezzogiorno, la Calabria perderebbe 384 milioni di euro, seguita dalla Campania (-195),Puglia (-169), Basilicata (-163). L’Abruzzo perderebbe 103 milioni euro, il Molise 85”, Per alcune regioni del Nord, invece, si tratterebbe di un vero e proprio boom : Lombardia ( +623 milioni di euro), Veneto (+219) e Emilia Romagna ( + 125).
Questo significa peggiore qualità della vita, minori opportunità di crescita, insomma meno welfare. Che al Sud, nonostante le demagogie leghiste, è già una chimera. Ancora una volta, ci vengono in soccorso statistiche e studi dello Svimez “Il welfare locale garantisce una spesa procapite di 130 euro al Centro Sud e di appena 54 euro al Mezzogiorno. I bambini accolti negli asili nido sono il 15% al Nord e l’1,8% nel Mezzogiorno. Gli operai senza tutela sono in Italia circa 2 milioni di cui 650 mila al Sud. Se a questi aggiungiamo i disoccupati e il sommerso arriviamo al 50% della forza lavoro meridionale che è esclusa da ogni forma di protezione.” Sud sempre più solo quindi. Ma attenti, “al solito lamento del Sud abbandonato”, avverte Vera Lamonica. “C’è un problema serio di classi dirigenti e soprattutto di buon governo. Insomma tocca anche a noi reinventare il Sud.”
E’ il pensiero centrale del “pensiero meridiano” del sociologo Franco Cassano.”Una nuova fase nella storia del nostro Mezzogiorno passa solo attraverso la capacità del Sud di reimmaginare se stesso, di ritrovare la bussola del suo interesse generale, di ricomporre le sue diverse facce per fare squadra”. Cammino difficile. Si parte dal buco nero di Rosarno. Calabria.