Las Vegas e il museo della mafia. Ma c’è poco da scherzare
(Tratto da “Io non mafio”- di Giovanni Marinetti – Ffwebmagazine)
Che sia un’americanata non ci sono dubbi. Perché l’idea di fare un museo della mafia, anzi due, a Las Vegas nasce senza nessun senso civico né impegno civile. Solo un’americanata, un semplice diversivo per fare soldi, per divertirsi. I musei saranno due a Las Vegas due, e a dire la verità qualche altro “esperimento” del genere era stato fatto anche a Washington già nel 2007.
Il primo, quello “istituzionale”, ha l’ok del sindaco di Las Vegas Oscar Goodman e verrà realizzato partendo dal punto di vista delle forze dell’ordine e si chiamerà “Las Vegas Museum of Organized Crime and Law Enforcement”. Sarà dedicato alle attività e alle operazioni di polizia compiute negli anni negli Stati Uniti contro il crimine organizzato e godrà di un finanziamento di 42 milioni di dollari. Il curatore Dennis Barrie assicura che sarà esposto pure l’originale muro di mattoni della Strage di San Valentino di Chicago, compiuta dagli uomini di Al Capone il 14 febbraio del 1929: i mattoni conservano ancora i segni della fucilazione nei confronti di sette uomini del boss irlandese George “Bug” Moran.
L’Fbi ha collaborato all’allestimento, attingendo ai propri archivi e fornendo pure il filmato segreto di un rito d’iniziazione alla mafia.
Il secondo museo, invece, ha tutt’altro approccio. Si chiamerà Las Vegas Mob Experience ed è stato voluto da Antoniette McConnell, 74enne figlia di uno dei boss della Chicago degli anni Cinquanta, Sam Giancana, e sarà allestito all’interno del casinò Tropicana. Ospiterò oltre un migliaio di oggetti inediti e ricostruzioni fedeli dei luoghi dell’epopea mafiosa. Sarà fornito pure di un percorso interattivo, dal titolo The Final Fate (il destino finale), al termine del quale ogni visitatore scoprirà se è stato accettato come membro della famiglia o se l’aspetta una pallottola in fronte. Finta ovviamente.
La Las Vegas dei casinò è un città speciale, in un certo senso, perché pare sia stata fondata proprio da mafiosi, veri, Bugsy Siegel e il suo socio Lansky che nel 1946 aprirono il Flamingo, il più lussuoso casinò del dopoguerra. «Non si può raccontare la storia di Bugsy Siegel e Frank Lefty Rosenthal senza raccontare anche quella degli agenti che diedero loro la caccia. La storia del crimine organizzato e quella di Las Vegas non possono essere scisse. È molto più di un racconto di guardie e ladri. La storia di Vegas è quella dell’America» », dice il sindaco Oscar Goodman.
Sgarbi non ci sta, perché da sindaco di Salemi, in Sicilia, l’idea di un museo della mafia l’aveva già avuta. «È solo una americanata. Il vero Museo della Mafia è a Salemi – ha detto Sgarbi – Lo abbiamo ideato già nel 2008 io e Oliviero Toscani e il prossimo 11 maggio aprirà al pubblico. Quello di Las Vegas non potrà che essere un surrogato. Con gli americani ci dividono innanzitutto i soldi. Loro spenderanno 42 milioni di dollari, noi a mala pena 60 mila euro, di cui 15 mila messi dall’assessorato regionale ai Beni Culturali della Regione Siciliana, altri da sponsor privati e dal Comune. Poi i contenuti: il nostro non sarà certamente un museo celebrativo, ma di riflessione su ciò che è stata la mafia nel passato e su ciò che è diventata. Una antimafia non retorica».
Ecco il punto è questo. Perché fare un museo della mafia? Se l’intento è far conoscere per capire ben vengano musei, mostre e iniziative del genere. Se l’intento è di fare della mafia un gioco divertente allora no, non ci stiamo. Con il dovuto rispetto e con le debite proporzioni, nessuno – ci auguriamo – potrebbe realizzare un museo della Shoah che celebri i nazisti e mostri gli orrori compiuti ai danni degli ebrei con giocosa superficialità. Perché sarebbe offendere un popolo, la memoria del mondo e la dignità dell’uomo in quanto tale.
Ecco, la mafia per i popoli del Sud Italia, con le sue piccoli e grandi tragedie, con i suoi tantissimi morti, è una piccola Shoah. E scherzare con la memoria non è divertente.