Un giovane cronista al Festival del Giornalismo di Perugia
Sei giorni di immersione continua nelle acque, a volte fresche a volte stagnanti, del giornalismo nostrano. In quel mare di idee, informazione, nuove tecnologie, che è il Festival Internazionale di giornalismo, ne sono passati tanti di pesci! Chi giovane, chi vecchio. Chi più grosso, chi meno. E soprattutto, chi più disponibile e chi più disinteressato.
Noi, giovani cronisti alle prime armi, li ascoltiamo parlare, li osserviamo camminare nella hall dell’hotel di lusso nel centro di Perugia. Spesso non sappiamo neppure il perchè di tanta idolatria, e ci accorgiamo che poi tanto diversi da noi non lo erano da ragazzi, e forse non lo sono tuttora.
Come pazienti pescatori stiamo lì in attesa che il pesce più grosso ci passi davanti per poterlo catturare, e tenerne un po’ con noi. Scambiarci due parole, ottenere qualche consiglio, qualche piccola dritta. Per sentirsi dire cosa? Semplicemente frasi come questa: “Vuoi fare il giornalista? Sei un ragazzo giovane ed intelligente: cercati un altro mestiere! Lo dico per te”.
Parole simili a queste siamo stati costretti ad ascoltarle in certi casi, accompagnate da una pacca sulla spalla di circostanza, più che di incoraggiamento. Ma siamo sicuri le dicano per noi? Non lo fanno forse per loro? Per difendere il loro posto, l’appartenenza ad una “élite”? Ad una piccola “casta”? È probabile, ma la maggior parte dà speranza, crede in noi giovani.
250 volontari da tutta Italia e da gran parte del Mondo. Tutti con la voglia di poter trovare uno spazio su cui scrivere, su cui poter dire la propria e, soprattutto, sui cui poter informare, offrire un servizio. Tanti i compiti affidati, dalla logistica per gli eventi, all’ufficio stampa, la radio, il webmagazine, la web-tv. Il motore attivo del Festival. Opportunità che lo staff ha offerto ai giovani futuri (?) giornalisti.
Dimenticando quelle frasi e quei comportamenti da “prima donna” di giornalisti che dovrebbero fare solo il loro lavoro, senza mediaticità, senza marketing, quello che rimane sono gli incoraggiamenti, le battute, la voglia che trasmettono alcuni professionisti.
A partire dalla semplicità e dedizione di Gianni Barbacetto. La disponibilità e la pungente ironia di Michele Serra. Oppure, ancora, gli incoraggiamenti del giovane Emiliano Fittipaldi, le parole di Giuseppe Lo Bianco, Giuseppe D’Avanzo, Franco Di Mare. Su tutti Fabrizio Gatti, che dedica molto del suo tempo, perdendo anche il treno diretto a Roma.
È chiaro che le “prime donne” ci siano, e proprio loro, paradossalmente, sono i giornalisti più ricercati. Considerati come rock-star, per i quali i teatri di Perugia si riempiono in un nanosecondo, lasciando fuori dalle porte altrettante persone, se non di più, che inneggiano ai loro idoli.
Giornalisti e scrittori che nella quotidianità vengono ascoltati in modo acritico, dogmatico, senza alcuna intenzione di riflettere, di obiettare e verificare quello che viene detto.
Sembra che oggi il senso della critica sia un’eccezione.
La televisione ci ha plasmato a sua immagine e somiglianza. Il nostro Presidente del Consiglio, nonché proprietario di tre reti private e numerose testate giornalistiche, è ormai ovunque. Berlusconi è in ciascuno di noi. E lo diceva proprio Giorgio Gaber: “non temo Berlusconi in sé ma Berlusconi in me”. Una “profezia” avveratasi: il “Berlusconi in ciascuno di noi”.
La sua televisione è riuscita a creare automi non pensanti. L’unica cosa concessa è stare da una parte o dall’altra delle barricate. O con lui o contro. Una presa di posizione, una risposta che è la conseguenza solo di stimoli forti e grandi. Ma sulle piccole cose non riusciamo a pensare e a riflettere. Le parole mancano, il vocabolario scade nell’indecenza e nelle frasi da messaggino al cellulare.
Il problema sembra essere sempre più la televisione, con quei programmi che anestetizzano il pensiero e che creano masse di zombie.
A Perugia tra i 250 volontari ce n’erano tanti brillanti e vogliosi, molti erano grandi sognatori, speranzosi nel loro futuro. Ve ne erano altri, invece, persi, delusi, monotematici e non-pensanti.
Di sicuro nei più la voglia c’era, e ho visto una parte d’Italia giovane, decisa e interessata che non avevo mai osservato. E questo, senza ombra di dubbio, scalda il cuore.