La lotta di solidarietà

(Tratto da Calabria Ora – di Domenico Logozzo)

Fondazione Antonio Scopelliti

Fondazione Antonio Scopelliti (www.fondazionescopelliti.it)

«La mia è una lotta di solidarietà, che combatto per gli ideali di mio padre: la verità e la giustizia». Queste parole pronunciate da Rosanna Scopelliti in un’intervista a “La bellezza contro le mafie” su Radio1 Rai, rappresentano un serio e concreto richiamo al rispetto delle vittime della mafia, contro tutte le strumentalizzazioni.

La figlia del magistrato barbaramente ucciso il 9 agosto del 1991 a Campo Calabro da killer spietati che finora sono rimasti impuniti assieme ai mandanti, dà una lezione di legalità e di pulizia morale a chi purtroppo ignora e infanga il sacrificio di gente buona e onesta. Un appello che deve svegliare le coscienze dei calabresi: li deve far riflettere per far sprofondare nei bassifondi della meschinità tutti gli idioti che pensano di ottenere vantaggi spargendo veleni.

«Riuscire a qualcosa, qualunque cosa, è ambizione, sordida ambizione. È logico quindi ricorrere ai più sordidi mezzi», scriveva Cesare Pavese, affermando anche che «come non si pensa al dolore degli altri, si può non pensare al proprio». Rosanna Scopelliti, nella coraggiosa intervista radiofonica, ancora una volta ha saputo tirare fuori l’orgoglio delle radici, la volontà legittima e sacrosanta di vedere sconfitto il male: «Non chiedo giustizia solo per mio padre, ma per tutte le vittime di mafia, per tutte quelle persone che sono state uccise per il loro lavoro, perché hanno avuto il coraggio di denunciare. Sapere chi lo ha ucciso per me è importante, ma credo che lo sia ancora di più per lo Stato: perché per avere la fiducia dei cittadini deve essere capace di garantire per i propri martiri giustizia e verità».

Ricordare è un atto di giustizia. «Ad Antonino Scopelliti, per non dimenticare»: il giudice Nicola Gratteri e il giornalista Antonio Nicaso hanno voluto dedicare il libro “La malapianta” a «un servitore dello Stato, che – afferma la figlia – nella sua vita ha avuto la sola colpa di profondere nel proprio lavoro quella dignità umana che ogni cittadino è chiamato a far valere orgogliosamente nelle piccole e grandi scelte quotidiane ».

Rosanna Scopelliti sta portando avanti una battaglia coraggiosa. È uscita dal buio della solitudine e del dolore che per anni ha condiviso con la madre, chiede che si faccia luce sull’efferato crimine, che l’ha privata del grande affetto del padre, uomo probo e giusto, che voleva un mondo migliore. La legalità prima di tutto. Senza cedere mai. Rosanna, nel giorno della visita del presidente Napolitano a Reggio Calabria, il 21 gennaio scorso, aveva detto: «Penso a papà come ad un albero d’ulivo: aggrappato solidamente alle sue radici, con la corteccia ruvida e nodosa, ma al tempo stesso semplice, generoso e capace di crescere anche nei terreni più aridi e rocciosi. Un vero ulivo calabrese, pronto a dare frutti anche nelle condizioni più impervie. E questa è la nostra terra». Avevano persino tentato di corromperlo.

Scriveva Pantaleone Sergi su la Repubblica del 10 marzo 1994: «Afferma uno dei pentiti riferendo dell’accordo mafia– ’ndrangheta rivelatogli da un boss: “mi disse che era stato contattato il giudice (Scopelliti, ndr), inizialmente facendogli offerte di danaro anche ingenti, mi parlò di circa 4 o 5 miliardi e successivamente minacciandolo anche telefonicamente. Ma poiché questi non aveva voluto accettare nessuna sollecitazione… avevano programmato la sua uccisione appena sarebbe sceso in Calabria”.

E così fu. Scopelliti sapeva i rischi che correva. “Per questo processo si può anche morire”, confessò a una giovane amica qualche giorno prima di essere trucidato», scriveva sempre Pantaleone Sergi su la Repubblica del 10 luglio 1994, precisando che «i suoi timori, solo 40 ore prima di essere ammazzato, il magistrato li aveva confidati all’ex moglie. “Mi disse che era molto preoccupato”, ha raccontato la signora Anna Maria Sgrò ai giudici di Reggio, “accennò a cose grosse, grossissime”. Ma con le alte toghe della Cassazione, che ieri hanno testimoniato al processo si era mostrato sempre sereno. Quando l’avvocato generale della Suprema corte, Bartolomeo Lombardi gli disse “Te la senti di fare il maxiprocesso di Palermo?”, lui rispose di sì, tranquillo e cosciente dell’impegno necessario.

E al procuratore generale Vittorio Sgroi non accennò mai a problemi di alcun tipo. L’appello in Cassazione era una partita decisiva per Cosa Nostra. Il primo presidente della Suprema corte, Antonio Brancaccio, non ha escluso che parlando con il ministro di Grazia e Giustizia dell’epoca, Claudio Martelli, siano state espresse preoccupazioni ». Il grande coraggio contro la ferocia della criminalità organizzata. Il sacrificio di Antonino Scopelliti non può cadere nel dimenticatoio. Bene fa la figlia a mantenere vivo il ricordo del magistrato simbolo della legalità. Ideali che rimangono e vanno irrobustiti con l’esempio di rettitudine e moralità. Sempre. Senza compromessi. Il giudice Gratteri, parlando del delitto Scopelliti nel libro “La malapianta”, fa affermazioni molto importanti. Dice: «Fu un omicidio su commissione.

E non venne deciso dalla ’ndrangheta. La ’ndrangheta era in debito con Cosa Nostra che, attraverso i suoi vertici, aveva contribuito a mettere pace tra i clan in guerra, in uno scontro che nella provincia di Reggio Calabria, in meno di quattro anni, aveva causato più di settecento morti. Scopelliti aveva i tratti del gentiluomo; era una persona perbene, onesta e colta. Avrebbe dovuto rappresentare l’accusa in Cassazione per il maxiprocesso a Cosa Nostra, l’ultima spiaggia per evitare decine di ergastoli. Ricordo che in una requisitoria aveva sostenuto la necessità di garantire “privilegi particolari e maggiore protezione” ai collaboratori di giustizia. Non era entrata ancora in vigore la legislazione premiale, sul modello del programma americano di protezione dei pentiti». Gratteri è uno dei più convinti sostenitori della necessità di non far cadere il silenzio sull’azione antimafia dell’alto magistrato.

Un timore che, il 17 agosto 1991, il giudice Giovanni Falcone aveva espresso chiaramente in un editoriale scritto per La Stampa di Torino: «L’ultimo delitto eccellente – l’uccisione di Antonino Scopelliti – è stato realizzato, come da copione, nella torbida estate meridionale cosicché, distratti dalle incombenti ferie di Ferragosto e dalla concomitanza di altri gravi eventi, quasi non vi abbiamo fatto caso. Unico dato certo è l’eliminazione di un magistrato universalmente apprezzato per le sue qualità umane, la sua capacità professionale e il suo impegno civile. Ma ciò ormai non sembra far più notizia, quasi che nel nostro Paese sia normale per un magistrato – e probabilmente lo è – essere ucciso esclusivamente per aver fatto il proprio dovere. Ma se, mettendo da parte per un momento l’emozione e lo sdegno per la feroce eliminazione di un galantuomo, si riflette sul significato di questo ennesimo delitto di mafia, ci si accorge di una novità non da poco: per la prima volta è stato colpito direttamente il vertice della magistratura ordinaria, la suprema corte di Cassazione».

Falcone concludeva con un auspicio, che è attualissimo: «Si spera che l’ultimo infame assassinio faccia comprendere quanto grande sia la pericolosità criminale delle organizzazioni mafiose e che se ne traggano le conseguenze. Al riguardo, nel rilevare che attualmente è tutto un fiorire di ricette per battere la criminalità organizzata, ci si permette di suggerire che, ferma l’opportunità di scegliere moduli organizzativi adeguati, è giunto ormai il tempo di verificare sul campo la bontà degli stessi e, nel concreto, l’effettivo impegno antimafia del governo». Per dare un segno tangibile della volontà di “non dimenticare” Scopelliti, il giudice Gratteri sembra intenzionato a rendersi promotore di una lodevolissima iniziativa: intitolare un tribunale calabrese al servitore dello Stato. Potrebbe essere quello di Locri.

Certamente sarebbe un generoso atto di riconoscenza e sarebbe la più bella risposta alla richiesta rivolta dalla figlia Rosanna al presidente Napolitano: «Solo per oggi vorrei essere come una Sua nipote e chiedere come regalo di compleanno per il mio papà una piccola promessa: non essere più lasciata sola a combattere una battaglia difficile non solo di verità e giustizia, ma di memoria collettiva per un Paese che, purtroppo, fa poca fatica a dimenticare. È una preghiera che sento di rivolgerLe anche a nome di tutta quella Calabria onesta, solidale e virtuosa che difficilmente riesce a far parlare di sé. Quella Calabria che, proprio per questo, ha bisogno di essere riconosciuta, incoraggiata e sostenuta dallo Stato, giorno dopo giorno».