Informazione e politica: uno scontro fisiologico

Al Festival Internazionale di Giornalismo si parla di informazione, di new media, si parla del futuro dei giornali, delle nuove tecnologie ed anche del futuro e delle prospettive dei nuovi giornalisti.
Alessandro Campi, direttore scientifico della Fondazione FareFuturo, è ospite del festival. È qui per parlare del “circo politico-mediatico”. E quindi con lui abbiamo parlato del rapporto fra politica e informazione.

Dott. Campi, oggi molti giornalisti parlano di “bavaglio” intorno all’informazione. Avvertono una limitazione della loro indipendenza e autonomia, viste anche le diverse leggi, come quella in discussione in Parlamento sulle intercettazioni, che si intromettono nel sistema della libera informazione. Lei che opinione ha a riguardo?
Una stampa libera e indipendente è una garanzia di democrazia, e il suo livello si misura anche attraverso il sistema di informazione libero, indipendente e autonomo. La politica sbaglia a volerlo condizionare, a voler troppo influenzare il sistema. Se pensa di mettere dei bavagli, commette un errore molto grande, però bisogna che ognuno si assuma le sue responsabilità. Ci sono quelle della politica e quelle dell’informazione. Questa dovrebbe essere più gelosa della sua indipendenza. Abbiamo un giornalismo che, anche per ragioni storiche, è troppo vicino al potere. La politica fa pressione sul mondo della carta stampata, sul mondo delle televisioni, sull’informazione in generale, ma anche i giornalisti spesso e volentieri si comportano, agiscono, pensano in chiave politica. Il problema è reciproco, bisogna guardare entrambi gli aspetti, perchè in Italia c’è una patologia sul versante dell’informazione che non dipende solo dalla politica, ma anche dallo stesso mondo del giornalismo.

Quindi i giornalisti dovrebbero usare la loro indipendenza senza ostacolare la politica e senza intromettersi?
Chi fa il giornalista dovrebbe fare quello e non dare l’impressione di essere un partigiano, uno che prende campo a favore di una posizione o di un’altra. Purtroppo spesso accade che i giornalisti si comportino come se fossero portavoce di qualche gruppo politico, si prestano volentieri ad avere un rapporto eccessivamente incestuoso col mondo della politica. È una tendenza fisiologica che appartiene a tutto il mondo politico quello di voler controllare o condizionare l’informazione. Lo vediamo in tutti i paesi e noi ci lamentiamo dell’Italia. I leader politici, anche i più democratici del mondo sono allergici alla critica, bisogna farci i conti.

E qual è la soluzione a questo “scontro fisiologico”?
La soluzione si trova nelle persone. Sono convinto che la differenza la fanno i singoli uomini, chi fa il giornalista dovrebbe avere una struttura mentale, un carattere. Dovrebbe avere anche un senso della propria professione diverso da quello che spesso si ha. L’autonomia e l’indipendenza non sono qualcosa che viene concesso dall’alto, ma che si conquista. Questo non vuol dire che facendo il giornalista non si debbano avere idee o non si debbano manifestare. Sto dicendo una cosa diversa. I grandi giornalisti sono tali perchè hanno opinioni forti da fare valere. Ma è la loro opinione, non quella del partito cui si appartiene o la parte politica verso cui ci si schiera.

Non crede che questo rapporto fisiologico fra politica e informazione, che in altri Stati si manifesta tramite il dibattito politico, tramite dichiarazioni, anche se molto forti, in Italia si sviluppi più che altro con interventi legislativi per cercare di frenare e imbavagliare quello che lede il potere?
Sarkozy in Francia non ha fatto solo dichiarazioni molto forti, ma ha anche rimosso direttori di giornali, ha fatto allontanare giornalisti. Lo stesso Obama ha avuto un atteggiamento nei confronti della stampa, in tempi recenti, particolarmente astioso, soprattutto nei confronti dei network che a suo avviso erano troppo appiattiti sul fronte repubblicano. Uno scenario che troviamo in molti Paesi: la politica che tende a condizionare e controllare l’informazione. Lo sappiamo e dobbiamo fare i conti con questa realtà. Poi naturalmente c’è oggi in Italia il provvedimento legislativo che potrebbe, se approvato, mettere una sorta di bavaglio all’informazione. Cioè quello sulle intercettazioni.
Se un errore è mettere il bavaglio, bisogna capire, al tempo stesso, se per caso non si sia sbagliato qualcosa nel sistema dell’informazione, facendo un uso dell’intercettazioni forse improprio. C’è stato un certo giornalismo di inchiesta che in realtà ha avuto ed ha una caratterizzazione politica e che non si è mai posto problemi di natura deontologica rispetto all’uso delle intercettazioni. Ha pensato che potessero essere usate in chiava scandalistica, senza fare verifiche, controlli, senza preoccuparsi se si stesse violando la privacy delle persone, senza calcolare bene gli effetti dirompenti che possono avere le intercettazioni, come ad esempio il mettere in piazza dei comportamenti privati che fino a prova contraria non costituiscono un reato penale. Ancora una volta bisogna vigilare affinché la politica non esageri nelle sue pretese, però bisogna anche che il sistema dell’informazione faccia un esame su di sé e sui propri comportamenti.

In questi giorni partirà l’iniziativa “Non bacio le mani”, dell’editore calabrese Rubbettino, un’iniziativa contro le mafie. Cosa pensa lei degli editori che pubblicano contro le associazioni criminali?
Ne penso benissimo, sono calabrese e collaboratore da diverse anni dell’editore Rubbettino, apprezzo il suo impegno antimafia e non posso che plaudire a queste iniziative editoriali, che non sono soltanto di Rubbettino. Per fortuna c’ è attenzione grande su questi temi. Anche da parte di grandi editori. Non dimentichiamo che il libro di Saviano, Gomorra, è stato pubblicato da Mondadori. Fortunatamente l’editoria è molto attenta a questa questione.