Morte di un baby-rapinatore punito dall’erede del boss

(Tratto da La Repubblica, Napoli – di Irene De Arcangelis)

Baby Pistol

Baby Pistol (Zoltan Horlik)

Ciro Fontanarosa fu freddato con sette colpi di pistola scorso 25 aprile. Secondo gli investigatori il giovane, incensurato, ha pagato con la vita il rifiuto ad affiliarsi a un clan camorristico. Catturati il presunto mandante e l’esecutore del delitto eseguito secondo le modalità riservate ai boss. Fermata una terza persona per favoreggiamento.

Avvertito più volte. Schiaffeggiato, picchiato: non vuole ubbidire al clan. A diciassette anni è un rapinatore indipendente, non accetta padroni. È fuori dal sistema. Si ribella, alza lo sguardo quando viene minacciato. Fino alla sentenza di morte. Ammazzato da infame, con numerosi colpi di pistola al volto. Storia della breve vita di Ciro Fontanarosa, ucciso ancora minorenne, lo scorso 24 aprile, mentre è a bordo della sua Audi A3 nuova di zecca, comprata con parte del bottino della rapina in una gioielleria che gli aveva fruttato settecentomila euro.

Giovane ma già pezzo da novanta della criminalità comune che si era messo contro l´erede del boss del Vasto Patrizio Bosti, Ettore. Ieri Ettore ‘o russo (chiamato così per il colore dei capelli) è stato arrestato con due complici (il terzo è collaboratore di giustizia) per quell’efferato delitto dal movente che svela la smania di potere delle nuove generazioni della camorra. Ucciso perché non voleva ubbidire, come emerge dalle indagini dei carabinieri del nucleo operativo che si sono concluse con l´emissione dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere. In carcere anche l´esecutore dell’omicidio, Vincenzo Capozzoli, 35 anni, noto come “Enzo ‘a miseria”, killer del clan da seimila euro al mese, e il cugino della vittima, il ventiduenne Cristian Barbato testimone oculare che depista le indagini e tace la verità alla madre della vittima, sua zia.

«Mamma, pure se batto il piede a terra gli do fastidio». È la vittima, Ciro Fontanarosa, a parlare in questi termini di Ettore Bosti. Quest’ultimo è l´erede del boss, la vittima invece segue le orme del padre, ammazzato in un ufficio postale di Secondigliano nel ‘99 durante un conflitto a fuoco con le forze dell’ordine appena sbucato da un foro nel pavimento. E anche il nuovo compagno della madre fa il rapinatore. Ciro vuole essere indipendente, non accetta le proposte di lavoro criminale di Bosti e, anzi, gli dice che se dovrà scegliere di affiliarsi a un clan seguirà la strada del padre, legato ai Licciardi e non ai Contini.

«Voleva fare il mariuolo fuori dal sistema», racconta il pentito. Fino alla rottura tra i due giovani ricchi di ambizioni. E durante una lite Fontanarosa spinge Bosti e gli fa cadere gli occhiali: «Ma ti sei reso conto di quello che hai fatto? Ti devo far fare la fine di tuo padre», minaccia Bosti. E il diciassettenne risponde: «Può darsi che quella fine la faccio fare io agli amici tuoi… ». Mentre il cugino della vittima e testimone oculare del delitto tenta di sviare le indagini, è lo stesso Ettore Bosti, a tentare prima di placare la rabbia dei familiari con del denaro che viene però rifiutato. Poi a tentare di far ricadere i sospetti sugli affiliati al clan rivale dei Mazzarella. Che lo vengono a sapere ed eseguono una spedizione punitiva contro Bosti sparando contro la sua auto.

La gioia della madre di Ciro Fontanarosa viene intercettata. Dice all’altro figlio: «È una bella cosa per noi». E in carcere al suo compagno, che sa tutto del delitto e allude a Bosti ‘o russo indicando l´etichetta rossa di una bottiglia di acqua minerale: «Ha fatto una infamità». Tutti sanno, ma restano reticenti con le forze dell’ordine. Continua la madre disperata: «Lo schifano tutti quanti (Bosti), ma quello, se è stato lui, mio figlio veramente se lo faceva. Stava solo aspettando il momento suo…».