Liste elettorali: troppe parole in libertà
(di Elia Fiorillo, Consigliere nazionale Ordine Giornalisti)
Il decreto ”interpretativo” alla fine il governo l’ha varato. Si chiuderà così ”quer pasticciaccio brutto” elettorale? Assolutamente no. Se ne è aperto invece un altro ben più complesso e grave. Se il primo pastrocchio è tutto interno al Pdl, a causa di superficialità dilettantesche e possibili conflitti intestini mal gestiti, il secondo investe le istituzioni e la gestione della democrazia nel nostro Paese. Tutto ciò in un clima già avvelenato da una serie interminabile di scandali e di delegittimazioni sistematiche di corpi istituzionali essenziali per la democrazia.
Di colpo il baratro si apre e va al di là della questione elettorale. Entra in campo una nuova ”questione morale” che investe la fiducia che i cittadini devono avere nelle istituzioni. Cioè la garanzia che la legge sia per tutti uguale. Al di là della sua legittimità costituzionale e formale, che il presidente Napolitano con la sua firma ha certificato, quel decreto esplicativo, che non modifica la legge ma la chiarisce, è comunque un ”aiutino” fortemente interessato che cambia le carte in tavola. Sarà molto difficile spiegare ai tanti cittadini che ogni giorno s’imbattono nelle mille norme formali che regolano la nostra convivenza civile – ma la forma è anche sostanza – che l’esclusione dal concorso, dai benefici di una legge, dall’assegnazione della casa e via dicendo è stata causata da una semplice firma mancante, da un ritardo d’invio di una domanda, da una norma burocratica mal interpretata.
Una cosa mi ha particolarmente colpito nella vicenda delle liste elettorali contestate di Milano e Roma: l’uso inappropriato di parole e di comportamenti. Il termine ”golpe” ce lo troviamo da tutte le parti. Esponenti del Pdl tirano in ballo presunti golpe operati dai verificatori delle liste, le corti di appello, che avrebbero penalizzato il Pdl. Potrebbe pure essere, ma chi accusa non tira fuori un briciolo di prova. Il vocabolo golpe lo usa anche Di Pietro quando attacca il Presidente della Repubblica reo di aver controfirmato il decreto salva liste. Di Pietro confonde volutamente, tenuto conto del suo passato di magistrato, la legittimità con l’opportunità. Il Capo dello Stato è un notaio che non può permettersi il giudizio di valore politico sugli atti che controfirma. Si deve preoccupare esclusivamente della loro conformità costituzionale.
Certo, può usare la moral suasion per far comprendere l’inopportunità di certi atti. E nella fattispecie l’ha fatto anche con determinazione come traspare nella nota a sua firma in cui spiega i suoi passi. Ma se il suo interlocutore non capisce o non vuol capire, non può far altro che firmare o sollevare un conflitto tra poteri dello Stato presso la Corte costituzionale, se però ravvisa elementi di palese incostituzionalità.
Fa riflettere anche l’uso smodato del termine ”democrazia”. L’esclusione di una lista elettorale per oggettivi vizi formali è un attentato alla democrazia perché sono state fatte rispettare le regole unitariamente decise? La mancanza nelle schede elettorali del simbolo del Pdl penalizzerebbe i suoi elettori fino a far ritenere la votazione non democratica? Certo non è la stessa cosa che dare il voto alla propria compagine elettorale, ma è solo colpa dell’inefficienza del suo partito se non può votarlo. Altra voce usata a sproposito è ”burocrazia” che viene posta in antitesi con democrazia. A sentire gli interessati le norme violate o mal applicate per la presentazione delle liste erano solo passaggi burocratici. Ma la burocrazia non è altro che una ”organizzazione di persone e di risorse destinate alla realizzazione di un fine collettivo secondo i criteri di razionalità, imparzialità, impersonalità”.
Nel caso in questione quelle norme partorite dalla burocrazia erano per l’attuazione piena della democrazia. Burocratismi non se ne vedono proprio. Infine, i comportamenti. Non si possono fare petizioni al Capo dello Stato, con annesse manifestazioni di piazza condite da maratone oratorie, per chiedergli la non applicazione delle leggi o il loro aggiramento. Insomma, la democrazia è una cosa seria. È un salutare medicamento che va preso in toto, non scegliendo, a nostro gradimento, gli elementi che più ci aggradano. Da medicina salutare, in questo modo, può diventare intruglio assai nocivo per tutti.