Fa arrestare i camorristi ora lo trattano da lebbroso

(Tratto da Repubblica, Napoli – di Antonio Corbo)

Frattamaggiore, Napoli

Frattamaggiore, Napoli (Aislinn Wood)

Frattamaggiore, Corso Durante, il cuore della città benedettina. Nel grigio gentile della boutique risaltano le grandi firme. “Ciaravolo Moda” è l’immagine del lusso. In un’ora vuota, la serranda giù, le commesse in pausa, un uomo racconta due vite. Le sue.

«Per 5 anni schiavo. La camorra mi aveva puntato: ci sapevo fare, come catturare un animale di razza. Ero prigioniero. Dal 2002 mi hanno terrorizzato, picchiato, succhiato soldi e sangue».
E l’altra? Andrea Ciaravolo, 43 anni, tre figli che vede poco, piantato dalla moglie, si svincola nel 2007, primo novembre, giorno di festa per tutti, si liberano anche Frattamaggiore, Crispano, Cardito. I carabinieri arrestano la banda del terrore, 14 persone, Antonio Cennamo il capo, un nome che dice tutto: “O Malommo”.

Seconda vita di Andrea Ciaravolo, ma come va? «L’ho scelta io. Rifiutai protezione, località segreta, altro lavoro. Dissi: resto a Frattamaggiore. Temevo vendette sui miei bambini. Muoio io e non loro, decisi così. Sono un ex schiavo, mi sono ripreso la libertà, lavoro solo per me». Il tono crolla. «Libero. Ma a volte rischio di impazzire. Mi trattano da lebbroso. La gente mi evita, le banche mi rifiutano. L’ultima? L’assicurazione mi ha restituito i soldi, niente più polizza Rca. Perché sono un soggetto a rischio».

Nel 2002 Ciaravolo ha tre negozi, alta moda. «Arrivano dei personaggi. Prendono abiti di lusso, e dicono: “Poi ci vediamo”. Io capisco, gli affari vanno forte, sto zitto». Nel 2003, uno strano furto. A Giugliano. «Un camion in retromarcia sfonda la vetrata. Furto totale della merce, 80 mila euro di danni». È solo l’inizio, salta il primo negozio. Riprende Ciaravolo. «Ho due conti in banca, sono affidato per 100 mila e 150 mila euro. Mi chiamano dopo il furto: “lei deve rientrare”.

Le banche capiscono che è cominciato l’inferno e non si fidano più. Mi illudono: “lei azzeri i conti, avrà un finanziamento più alto”. Non ho più niente. Trovo soldi in famiglia, fino a litigare con mia moglie e a perderla. Ho azzerato i debiti in banca.

La camorra lo sa e la trappola scatta: viene da me Francesco Luogo con la moglie Anna Maiale. È “Francuccio lo sbirro” perché faceva il carabiniere, al nord fu arrestato per una rapina con delitto, è uscito dopo dieci anni. Mi offre soldi dicendo che lui 24 ore su 24, giorno e notte, è a disposizione degli amici. Io sono quasi commosso. Gli restituisco i soldi in poco tempo e lo ringrazio. Gli dico che non avrò più bisogno di lui.

Macché, mi bruciano uno dei due negozi di Frattamaggiore, al Corso, con tutta la roba: 140 mila euro di danni. Torno. “Don Franco, mi prestate 100 mila euro?” Me li dà subito. Quando gli porto i primi 20 mila euro, e dico che ne mancano 80 mila, lui e la moglie ridono. “Ma che hai capito? Come tu vendi le pezze, io vendo i soldi. Questi sono solo gli interessi”. È l’inizio della fine».

Ciaravolo accetta le nuove condizioni. Tassi da usura, 4 per cento al mese. Deve guadagnare di più. «Convinco una signora a cedere un ristorante. Il Luxor: 30 mila euro in contanti, altri 70 mila con cambiali da 2.850 euro. “Francuccio lo sbirro” passa di notte a prendere parte dell’incasso. Ma una notte arriva un altro, da Sant’Antimo, dice che lavora per il Negus, un boss. Con altri due. Abbassa la serranda e mi chiede le chiavi del locale, dice che deve diventare suo. Mi punta la pistola con il colpo in canna».

Il racconto dal 2006 è un film da incubo. «Mi hanno messo in mezzo. “Francuccio lo sbirro” mi chiama nel panificio del nipote con una scusa. Poi minaccia di infilarmi con la testa nel forno e di bruciami vivo. Si va per un accordo dal boss Antonio Cennamo. Fa la mediazione. Devo cedere il ristorante. Mi dice: “Dopo torni come una signorina”. Cioè, nessuno più mi toccherà». Nello studio del notaio Farinaro di Aversa è trasferito il Luxor alla “Pink Hous Cafè srl”. Ciaravolo deve fingere di ricevere 80mila euro. Prende, firma e rigira al mittente gli assegni. Poi si accolla altri 20 mila euro per fitti arretrati. Nel 2006, ha già perso due negozi e un ristorante.

Ma nel 2007, ecco un altro: Rocco Fatale disconosce gli accordi presi dal fratello Antonio nel summit in casa Cennamo. «Rocco Fatale mi porta nel cimitero di Crispano. “Se il Malommo è così grande, ci rimetta lui i soldi. Comando io. Qui ti atterriamo se non paghi”. Finge di sparare, altri due fingono di calmarlo. Rocco Fatale mi blocca un’altra volta. Due mi tengono fermo per le braccia e lui mi picchia con il casco. Sono a terra tramortito e prendo calci in testa».

Il luogotenente Vincenzo Capoluogo, comandante di Crispano, riceve una soffiata. Sa che Ciaravolo è ostaggio dei boss. Lo convince a collaborare. I pm Nunzio Fragliassoe Alfonso D’Avino sono informati, giorno per giorno. Uno dei camorristi entra nell’ultimo negozio, in Corso Durante, e avverte la commessa in lacrime: «La boutique è nostra, voi lavorerete per me». E dà una scadenza: «Il 31 ottobre farai la fine del tabaccaio di Sant’Antimo morto per 7.500 euro. Pensa che tu devi dare 85mila».

Primo novembre, il blitz: 14 fermi del pm per anticipare i tempi, in carcere tutta la banda. E Ciaravolo? «Dico grazie a carabinierie pm. Ma le banche mi rifiutano, chiedo aiuto al ministero dell’Interno. Ho fatto eliminare un clan, sono cittadino modello, dicono tutti. Ma un imprenditore in crisi. Libero e isolato. Come un lebbroso».