Flaiano, la Calabria, le frane e il voto
(Tratto da CalabriaOra – di Domenico Logozzo)

La risposta del Movimento Ammazzatecitutti alla campagna di Oliviero Toscani
Frane e smottamenti: in Calabria è sempre emergenza. Ieri, come oggi. È l’amara realtà di un territorio interessato quasi totalmente da fenomeni di dissesto idrogeologico. Calamità naturali. Fino a che punto? Si piange ancora sulle disastrose alluvioni del 1952, del 1972-73, del 1996 a Crotone, del 2000 a Soverato, del 2006 a Vibo Valentia.
E questo per citare solo alcune date-simbolo di tragedie che chiamano in causa non solo la violenza distruttrice delle “forze della natura”, ma anche le responsabilità dell’uomo, che con interventi scellerati ha inflitto al territorio ferite mortali. Anche sul finire dello scorso mese di gennaio, giornali, telegiornali e agenzie di stampa sono stati costretti ad occuparsi di interi paesi messi in ginocchio da una “maledizione” che si abbatte periodicamente sulla Calabria, definita dallo scrittore Giustino Fortunato “uno sfasciume pendulo sul mare”.
Ma cosa si è fatto per migliorare questa condizione di perenne precarietà. Ogni volta che avviene un disastro, c’è chi continua ad appellarsi alla fatalità. Alibi che non regge.
Corrado Alvaro, scriveva: ”I calabresi hanno un senso della fatalità; concepiscono la vita sull’immagine delle loro fiumare che presto o tardi travolgono ogni cosa. ‘Piegati, albero, ché passa la piena’, è un loro motto”.
No, non può e non deve essere così. Dopo ogni disastro puntualmente vengono alla luce assurde storie di dissennata gestione del territorio. L’azione scellerata dell’uomo che ha provocato e continua a provocare danni irrimediabili all’ambiente: incedi dolosi, taglio indiscriminato dei boschi, cementificazione dei corsi d’acqua, aggressione alle coste.
Questioni antiche, ben conosciute e mai affrontate con la necessaria decisione. Pensate, quasi 40 anni fa, il grande scrittore, sceneggiatore, giornalista ed umorista Ennio Flaiano (il 5 marzo sarà ricordato il centenario della sua nascita con una serie di manifestazioni a Pescara ed a Roma), si occupò del problema delle frane in Calabria.
Nel libro “Le ombre bianche” (editore Rizzoli, Milano, 1972, pp. 273) con il quale vinse il Premio Estense, dedicò un capitolo al “Dissesto idrogeologico e al rimboschimento”, riferendosi ad un paese della Calabria.
“Poiché la realtà comincia a superare la satira – scriveva l’autore nella Prefazione – penso che sia tempo di raccogliere queste ‘ombre bianche’: storie brevi, divertimenti e dialoghi; infine occasioni, satire… Credo che insieme narrino la storia di un ‘io’ che detesta l’inesattezza ed è stato sopraffatto dalla menzogna”.
Flaiano, lo ricordiamo, introdusse nella lingua italiana la nota espressione “saltare sul carro del vincitore” e inventò il termine “paparazzo” per definire un fotografo tra gli attori del film “La dolce vita”, girato 50 anni fa a Roma da Federico Fellini, con Anita Ekberg indimenticabile protagonista della famosissima pellicola. E qui ritorna il “rapporto” con la Calabria.
C’è infatti chi sostiene che “Flaiano leggendo il romanzo di George Gissing “Sulle rive dello Jonio”, s’innamorò di una curiosa figura: Coriolano Paparazzo, un cerimonioso albergatore catanzarese. Affascinato “dal suono surreale del prestigioso nome”, lo scrittore, d’accordo con Fellini, lo regalò al suo personaggio”. Altri affermano invece che Flaiano, descrivendo i fotografi, paragonò l’obiettivo della macchina fotografica all’apertura e chiusura delle valve delle vongole, “paparazze” in dialetto abruzzese.
Ma rileggiamola assieme la vicenda calabrese raccontata nel 1972 dall’ incisiva penna di un uomo di cultura che ha lasciato tracce profonde nel mondo della letteratura, del giornalismo e del cinema italiano del Novecento.
L’ambientazione è in “un paese dell’Appennino (in Calabria), dove tutti sono in allarme perché da qualche tempo il paese sta franando a valle. Questione di qualche centimetro al mese, di qualche casa che si spacca, di qualche strada che cede. Le piogge, ma soprattutto il taglio indiscriminato dei boschi, che prima facevano corona al paese, sta ora producendo i suoi effetti”.
Flaiano descrive lo stato d’animo dei cittadini, che cercano di correre ai ripari: ”Un rimedio forse ci sarebbe: rimboschire presto, attivamente. Soltanto dopo si potrà pensare a rimettere in sesto le case pericolanti. Ma chi si accolla la spesa enorme di un rimboschimento così esteso? Il Comune non ha soldi, la Provincia nemmeno, il Governo ha promesso aiuti, ma non manda niente.
Tutta la lotta politica, da qualche anno, si sta svolgendo attorno all’unico tema del rimboschimento”. Si ripete la vecchia storia, tanto attuale nella Calabria d’oggi: ”Promesse, promese, promese. I partiti promettono moltissimo. L’onorevole monarchico accusa i repubblicani, anzi la Repubblica; i comunisti accusano i signori; i signori accusano i contadini che hanno tagliato i boschi per coltivare il grano. Tutti parlano”.
Dunque, chiacchiere, tante chiacchiere. Fatti? Nessuno. A questo punto l’incisiva satira di Flaiano diventa una proposta. Che nasce da una constatazione di buoni intenti per il bene comune. Viene fuori una singolare ma concreta iniziativa. E questo perché “in paese c’è qualcuno che pensa seriamente al rimboschimento. Un bel giorno si vede infatti una donna che va a piantar un albero nelle forre della strada di circonvallazione. Il giorno dopo, le piantatrici, sono due, tre, cinque. Nei giorni seguenti vediamo anche qualche uomo. Cosa è successo? Gli alberi piantati sono quasi un centinaio, e il loro numero aumenta ogni giorno, come mai questo nuovo senso negli abitanti?”
Al lettore che legittimamente si pone questi interrogativi lo scrittore abruzzese, che dimostra tanto interesse per la difesa del territorio calabrese, spiega: “La risposta è semplice. Il vecchio parroco, un uomo poverissimo, quando confessa i suoi fedeli invece di dar loro per penitenza qualche preghiera, ha pensato che è più utile impegnarli a piantare alberi. I peccati così serviranno a qualcosa, da ora in poi. Assieme ai bambini che portano i loro teneri arboscelli, vedremo così qualche vecchio signore del luogo portare al trapianto qualche enorme pino o abete. ”Tra qualche anno -dice il parroco- se i miei fedeli seguiteranno a peccare come sempre hanno fatto, il rimboschimento sarà completo”. E il sindaco? Non protesta per quell’occupazione di suolo pubblico? No, anzi il sindaco va anche lui a piantare il suo alberello senza dare alla cerimonia un carattere ufficiale”.
Geniale Flaiano! L’esempio positivo del fare, contro la negatività del non fare, del disinteresse per il proprio territorio. È davvero straordinaria la lezione che ci viene dal grande abruzzese: mettere in primo piano il valore dell’ambiente, evitare ulteriori lutti, bloccare gli scempi che hanno riempito di cemento gran parte delle splendide coste dello Jonio e del Tirreno che tutto il mondo ci invidia.
Ridare al territorio la bellezza originaria non sarà facile. Ma bisogna impegnarsi a farlo, tutti insieme. Un progetto che deve vedere seduti intorno allo stesso tavolo della programmazione e della realizzazione, gli uomini di cultura, i sindacalisti, gli amministratori illuminati, gli ambientalisti, le autorità scolastiche (dalle elementari alle università), gli imprenditori onesti, i giovani che credono nella “nuova Calabria” e soprattutto la Chiesa, che Flaiano ha indicato come “esempio del fare” in una realtà dove ci si attardava (e ancora oggi ci si attarda, purtroppo) in sterili e controproducenti contrapposizioni. Cambierà? L’ottimismo non può essere negato a chi crede in una svolta seria e reale, sacrificandosi per togliere la Calabria dall’umiliante condizione in cui si trova oggi. Uno stato di disinteresse e di abbandono che viene dal lontano passato. Bollata come “terra di barbari”, si ricorda ancora l’episodio crudele di Taurianova, quando la testa della vittima venne fatta rotolare lungo la via più importante del paese.
Responsabilità politiche ce ne sono state, e ci sono, se la Calabria ora si trova così indietro. E a proposito di “incarichi politici”, nel libro di Flaiano del 1972 c’è un altro passaggio molto pesante: ”Le invasioni dei barbari essendo oggi improbabili, la natura supplisce con le invasioni interne e legali: i Vandali sono all’edilizia, Attila dirige la riforma agraria, i Goti aspettano di andare al potere. Tutti mirano a distruggere qualcosa perché il barbaro, sempre stupido e impaziente, deve muoversi e fare, altrimenti si annoia”.
Impietoso e anche per molti aspetti assai attuale il ragionamento dello scrittore abruzzese. Un giudizio severo che deve far riflettere i cittadini che nel prossimo mese di marzo saranno chiamati a scegliere i futuri amministratori calabresi. Tanti slogan circolano già. Ma l’obiettivo reale, di tutti, deve essere chiaro e inequivocabile. Basta con le commistioni pericolose. La Calabria deve essere libera, la legalità deve essere una regola in tutto il territorio. L’uccisione del vicepresidente della regione, Francesco Fortugno, resta una delle pagine più sconvolgenti della vita politica calabrese. Un delitto da non dimenticare. Soprattutto in questi giorni di presentazione delle liste, che non possono e non debbono essere sfiorate dal sospetto di “relazioni pericolose”.
Un voto che dovrà effettivamente segnare il riscatto di una regione che non può essere eternamente penalizzata dalla nefasta influenza dell’anti-Stato.
La Calabria deve essere guidata e governata con onestà, lungimiranza e rispetto delle regole dello Stato, per creare una serena convivenza civile, contro il malaffare che da troppo tempo terrorizza le persone buone e giuste. Il “vecchio e poverissimo parroco” di Flaiano ha dimostrato con intelligenza e serietà che gli obiettivi positivi si possono ottenere, trasformando il male in bene!
Basta volerlo.