Terra senza dignità
Mille persone. Mille cuori e mille teste. Chiuse in una ex cartiera abbandonata senza vetri, senza porte ma soprattutto senza acqua e luce. Una cartiera piena di topi che tra le coperte, il cibo abbandonato, i rifiuti, le scarpe trovano rifugio. Animali tra gli animali che si alzano alle prime luci dell’alba e che in bicicletta o a piedi raggiungono il posto di lavoro: ettari e ettari di arance, kiwi e mandarini.
Una scelta di vita dettata dalla povertà, dalla fame e dalla necessità. Una scelta di vita “sfruttata” dal datore di lavoro che “usa” la clandestinità come arma di ricatto per far accettare condizioni di lavoro che nessun italiano, non solo calabrese, accetterebbe.
Dieci ore di lavoro al giorno per un “tozzo di pane” e cioè 20 euro al lordo della percentuale per il caporale! Una paga degna del Terzo Mondo che ci fa gridare allo scandalo se la notizia giunge dall’India o dall’Africa o dal Sud America ma che a Rosarno, Calabria – Italia, sembra normale. Anzi “abbiamo tollerato troppo gli immigrati” e fortuna che qualcuno parla di schiavitù, senza peli sulla lingua!
Eppure la realtà degli immigrati di Rosarno non è una novità ma tale appare oggi come se all’improvviso ci si accorgesse di loro perché qualcuno gli ha sparato contro, ma questo è secondario, e perché hanno reagito. Eppure loro sono lì da anni e se non fosse per le “anime salve” di volontari, privati che li assistono, gli portano un pasto caldo, dei vestiti potrebbero anche morire e nessuno se ne accorgerebbe.
Quanti sono morti per le strade, al rientro dai campi, su biciclette sgangherate, senza luci, loro neri nel nero della notte? E chi ne ha parlato? Chi ha alzato una voce per loro? Siamo pronti a crocifiggerli perché hanno messo a nudo la nostra meschinità. Perché gli hanno sparato e nessuno di noi ha alzato una voce e loro, con la loro disperazione, si sono ribellati. Non vogliono morire ma non vogliono neanche prendersi la nostra vita: vogliono solo vivere e lavorare. Con dignità. Ma forse ne abbiamo tanta paura perché in loro rivediamo ciò che siamo stati: emigranti in giro per il mondo perché da noi c’era la fame, non c’era lavoro.
Quanti dei nostri parenti e quanti calabresi sono partiti nel secolo scorso in cerca di una possibilità di futuro? Disponibili ad essere sfruttati pur di mandare qualcosa a casa. Quanti, soprattutto nel nostro meridione, hanno avuto la possibilità di avere l’acqua in casa o un bagno vero e proprio grazie alle rimesse di chi era in Germania, Australia, Belgio?
Nel 1973 Nino Manfredi in “Pane e cioccolata” racconta la vita di un emigrato che cerca di mettere insieme il suo status di “estraneo” alla società svizzera e la dignità umana sopportando anche di vivere in un pollaio per lavorare. Francia, agosto 1893, operai francesi attaccano con coltelli gli italiani che lavorano nelle saline, sottopagati e senza nessuna copertura sindacale. Inizia così la “caccia all’uomo”, alcuni dei feriti, italiani, furono respinti dagli ospedali.
Un’immagine non molto distante da quanto si vive a Rosarno e in tante altre Rosarno d’Italia. Solo che questa volta noi stiamo dall’altra parte e abbiamo calato il sipario su ciò che siamo stati.
La domanda di queste ore è “ma se i tedeschi, i francesi, i belgi, gli australiani, gli americani non fossero stati tolleranti con noi che Paese saremmo oggi?”. Forse il ministro dell’Interno può darci una risposta astenendosi dalla banalità di dire che noi eravamo tutti buoni.