Noi perdiamo la guerra contro la Mafia “Malitalia”

Voci contro le mafie

Voci contro le mafie

(Tratto da Dazebo – di Delphine Saubaber e Anne Le Nir – traduzione di Andrea G. Cammarata)

Storie di mafiosi, eroi e cacciatori.

Perché questo libro e questo documentario, Malitalia?

Laura Aprati, Enrico Fierro: Per la necessità di raccontare e di fare conoscere la storia di uomini e donne che ogni giorno vivono con il peso sulle spalle della mafia. Poliziotti, carabinieri, imprenditori, e giovani cercano di testimoniare che si può vivere senza il crimine organizzato combattendolo quotidianamente, con una scelta di vita che spesso ne cambia l’esistenza.

Le loro voci vengono spesso omesse dai giornali. Le loro storie appartengono a regioni e a individui che vengono considerati troppo distanti dagli interessi dei lettori e dei telespettatori. I personaggi che appaiono nel nostro libro e nel nostro documentario, esclusa Dacia Maraini grande scrittrice italiana e Don Luigi Ciotti un prete che ha dedicato la sua vita a combattere il crimine organizzato, non compaiono mai in televisione, considerato che loro stessi protendono a una certa riservatezza.

Come siete arrivati a lavorare su un tema così delicato qual è quello della mafia?

L.A. Ho cominciato a occuparmi di mafia, e ad appassionarmene, la prima volta che sono andata in Sicilia, nell’estate del 1989. Sono arrivata ad Alcamo, uno degli incroci della mafia, per incontrare degli amici che mi hanno introdotto in questo mondo spiegandomi come funzionava il mercato del lavoro, dell’acqua…Studiare e capire gli individui legati alla mafia significa comprendere e capire meglio la storia del nostro paese poiché, dal dopo guerra ad oggi, i boss e la malavita hanno cambiato l’immagine del paese.

E.F. Ho incontrato da giovane per la prima volta la camorra, in un villaggio della Campania a Quindici. Ho capito che bisognava fare qualcosa… Avuta la chance di poter diventare giornalista ho trovato normale e giusto dedicarmi al Sud Italia e alla criminalità organizzata: Cosa nostra, la Camorra, la ‘Ndrangheta. Con semplicità ho raccontato nei miei libri e in centinaia di articoli la violenza, la corruzione politica e le storie di uomini e donne che stanno lottando per una società più giusta fuori da Roma. Ho girato un documentario “La Santa, viaggio nell’ ‘Ndrangheta sconosciuta”, che ha vinto nel 2008 il Globo d’Oro della stampa estera. L’ho fatto con la speranza di compiere un’opera utile.

Diciassette anni dopo l’uccisione dei giudici Falcone e Borsellino, che cosa è cambiato nella lotta alla mafia? Cosa dice la società civile? Voi scrivete questa frase terribile: ” Stiamo perdendo la guerra contro la mafia” Perché?

L.A. La coscienza civile è molto forte ma è altrettanto vero che, da quando le mafie si sono trasformate, la guerra è diventata ancor più difficile . La mafia come quella del Padrino, quella dei gangsters, dei gruppi armati non esiste più.
La criminalità organizzata al giorno d’oggi si mostra con il volto degli avvocati, dei commercialisti, dei medici, dei professori. I legami fra mafia e società civile sono dunque molto serrati.

E.F. Stiamo perdendo la guerra contro la mafia perché il governo italiano vuole combattere la criminalità organizzata solo sul piano militare. Se si arresta un killer o un boss ci sono grandi soddisfazioni… Ma nessuno perviene mai alle collusioni politiche ed economiche delle mafie. Quando un uomo politico o istituzioni ufficiali vengono sfiorati dalle inchieste giudiziali, cominciano le noie: i giudici diventano cattivi e comunisti, le inchieste sarebbero frutto di manovre politicizzate e i politici stessi passano per essere delle vittime… Sul piano economico è uguale. E’ il terzo il livello, quello di cui parlava il giudice Falcone, nessuno ci vuole mettere mano, magari perché appartiene alla politica… Se è così allora la mafia ha già vinto.

Voi dite che le Mafie sono divenute “endemiche” e “incurabili”….

L.A. Endemiche perché esse sono radicate nel territorio. Le mafie si sono trasformate e inserite nell’economia quotidiana e non solamente al Sud, ma anche nel Nord e in Europa (Germania, Olanda, Spagna).

E.F. Incurabili, è probabile, se inteso come concetto attribuito ad una persona che non le vuole combattere.

Parlate molto di ” Borghesia mafiosa”… Cosa significa?

L.A. Questo modo di dire indica il legame che sussiste fra società civile e crimine organizzato. Nel nostro documentario un pentito spiega che gli imprenditori inizialmente si associano alla mafia e poi a Confindustria. Questa è un’evidenza perché spesso Confindustria rappresenta tutta l’economia di un luogo…I mafiosi non sono più solamente dei killer ma dei professionisti che gestiscono appalti pubblici, o magari funzionari nelle stesse imprese pubbliche, insegnati, medici….

E.F. Nel Sud la borghesia si è indebolita e ha perso il suo tradizionale ascendente sulla società, la sua posizione di leader dell’opinione… Oggi quel che conta è il denaro, il business. Business che può essere posseduto solo attraverso l’economia criminale. Le recenti statistiche parlano di cifre esorbitanti, gli affari della mafia producono un fatturato di 130 miliardi d’ euro e ricavi da 70 a 80 miliardi. Questa ricchezza ribalta gli equilibri sociali e determina domini esclusivi inauditi nella società, considerato che il 27% della popolazione attiva in Calabria e il 10% in Campania e in Sicilia è impiegato in attività, legali ed illegali, che appartengono alle mafie. In chiaro, si tratta del 10″% della popolazione meridionale.

Avete incontrato numerosi esponenti dell’ anti-mafia, giudici, forze dell’ordine… Vite umane al servizio dello stato, a volte sino alla morte… Che impressione ne avete ricavato? E’ una vocazione per loro?

L.A. Sono spesso dei ” corpi estranei” in queste regioni dove il crimine organizzato controlla il territorio. Hanno certamente una vocazione forte. Vivono il loro lavoro con una fede quasi religiosa. Per esempio, il capo della squadra mobile di Trapani che dà la caccia da 17 anni a Matteo Messina Denaro – boss di cosa nostra – vive da cinque anni sotto scorta, ed è obbligato a dormire, per ragioni di sicurezza, in un alloggio della prefettura. Un altro de suoi ragazzi, per diventare poliziotto e poi entrare nella squadra che indaga sui latitanti, ha lasciato l’ università e un lavoro sicuro nello studio commerciale del padre, tutto ciò per seguire la sua fede. Un carabiniere calabrese che viveva nel Piemonte, ha deciso di trasferirsi per entrare nel corpo speciale ” I cacciatori della Calabria”, per lui ne è seguito un isolamento, i vecchi amici non lo volevano più vedere e i paesani se ne tenevano alla larga da lui e dalla sua famiglia, la famiglia ” del carabiniere”, quel ragazzo veniva considerato un “nemico”. Queste persone ci hanno raccontato la loro vita, i loro sogni, la rinunce, ma mai una parola di rimorso sulle loro scelte.

E.F. In Italia e soprattutto al Sud, il senso dello Stato è da ritenersi un fattore sovversivo…

Raccontate la storia allucinante di questo paese della Campania, Quindici, che è vissuto per 40 anni sotto la dittatura di 2 famiglie della Camorra. Cosa fa lo Stato?

L.A. e E.F. A Quindici, lo Stato era rappresentato da qualche carabiniere che, pur vivendo sotto assedio, ha cercato di fare ostacolo ai clans. Lo Stato di diritto era invece incarnato da una farmacista, Olga Santiello, che insieme a dei giovani intellettuali comunisti ha dato vita ad una lista civica di opposizione alla Camorra. Lo Stato è apparso anche sotto forma di un magistrato, che tuttora vive sotto scorta per aver indagato su quei clan.

Suscitate un preoccupante risvolto in Calabria da parte della ‘Ndrangheta, secondo voi, lì il controllo mafioso è peggio che nella Sicilia degli anni ’80 e ’90?

L.A. Diciamo che oggi i ruoli sono invertiti: fino a 20 anni fa, i mafiosi cercavano di avvicinarsi alle sfere della politica. Adesso si rimettono alla borghesia mafiosa per cercare consenso e voti. Nel nostro documentario, il magistrato Alberto Cisterna spiega che – dal 2005 – in seguito all’ uccisione di Francesco Fortugno, vice presidente della consiglio regionale della Calabria, i politici sanno che confrontandosi con i boss possono rischiare la morte. Le regole del gioco sono cambiate. Secondo Dacia Maraini, questo rapporto così stretto fra i due mondi proviene anche da una cecità dei politici, che hanno pensato di servirsi della criminalità organizzata senza doverne pagare il prezzo. Hanno creduto di potersene liberare facilmente. Che è sbagliato…

E.F. La ‘Ndrangheta oggi è l’ organizzazione mafiosa italiana più forte, ricca e potente al livello nazionale e internazionale. A differenza di Cosa Nostra non ha perso tutto il suo sangue nella lotta contro lo Stato. Ha trattato con la politica e le istituzioni, ha stabilito accordi e oggi non ha niente da domandare ai partiti, poiché i boss sono in grado d’imporre i loro propri candidati – figli, nipoti, terze e quarte generazioni mafiose.

Ormai, dopo il massacro di Duisburg, in Germania, che ha visto morire sei giovani italiani la notte del 15 agosto 2007, non si può più dire che l’Europa non sia toccata dal fenomeno…

L.A. e E.F. Paesi come la Germania, l’Olanda o la Spagna sono indubbiamente basi operative, come anche L’Australia e il Canada. In Francia, ci sono certamente degli appoggi e c’è anche il caso specifico di Bernardo Provenzano che si faceva curare a Marsiglia. Le ramificazione sono ovunque… La Svizzera è la banca dei tesori finanziari della ‘Ndrangheta. Molti paesi hanno sottovalutato il fenomeno.

Fintantoché arriva denaro che crea possibilità d’investimento nessuno dice nulla. Se il livello d’allerta sale, spesso è solo perché ci sono stati fatti eclatanti. Così fu in Germania, dopo le uccisioni di Duisburg.

I mezzi giuridici sono all’altezza della lotta alla mafia?

L.A. Il problema è spesso lo scarto fra la legge e la sua applicazione. In oltre il codice penale non è stato adattato ai cambiamenti della mafia. Le leggi concernono più che altro alla parte “militare” della mafia, ma non sono mai state aggiornate per i delitti di ” borghesia mafiosa” . Le estorsioni prevedono pene massimo fino a 5 anni e in qualche caso si rischia solo un’ ammenda. Gli strumenti di procedura mancano e manca anche una seria volontà di applicare la legge. Soprattutto per colpire la nuova mafia.

E.F. Sotto i diversi governi Berlusconi, gli attacchi alla magistratura sono stati frequenti. Attacchi ideologici, poi politici e legislativi. Numerose leggi sono state svuotate della loro sostanza. Le procure delle zone più sensibili sono state devitalizzate.I magistrati attaccati fino a tal punto da essere trattati come pazzi o comunisti. In fine, gli organi d’inchiesta giudiziale sono stati privati di mezzi finanziari e risorse umane.

Segni di speranza, malgrado tutto?

L.A. Il nostro libro fotografa la realtà del nostro paese e dell’Europa, ma il titolo porta anche a una riflessione su degli elementi incoraggianti: Don Luigi Ciotti e la sua associazione antimafia Libera, che gestisce diversi beni confiscati alla Mafia e dà lavoro a diversi giovani del Sud, i giovani della “Gurfata” di Locri, in Calabria, che lavorano come giullari per liberarsi dal giogo delle famiglie mafiose e pagarsi un’istruzione che li renderà più liberi. C’è anche un allevatore che ci ha incontrato, che denuncia i suoi estorsori con il rischio di portare la sua attività al fallimento. Antonio Britella a Trapani, boss mafioso, che ha deciso di collaborare con la giustizia senza lasciare la sua città e senza scorta, poiché ” La gente di Trapani deve capire che si può vivere senza la Mafia”… La speranza sono ” i cacciatori” che continuano a rinunciare ad una vita normale per fare sì che la legge sia la normalità e non un’eccezione.

E.F. Il Sud d’Italia è il Paradiso e l’inferno. E’ popolato di vili, di complici e di carnefici, ma anche di eroi come non ne troviamo in alcuna parte del mondo. Ci sono magistrati che hanno donato la loro vita, poliziotti, carabinieri, ma anche semplici cittadini, lavoratori, intellettuali. Esattamente, delle persone che hanno scelto di restare dalla parte dell’onestà. La speranza di un futuro migliore, sono loro.