Malacalabria
[Tratto da Calabria Ora]
Terra di giovani uccisi di boss e tradimenti
La disperazione più grave che possa impadronirsi di una società è il dubbio che essere onesti sia inutile. Queste parole di Corrado Alvaro devono risuonare nelle orecchie e nella testa dei ragazzi de La Gurfata di Locri, di Angela Corica, giovane giornalista di Calabria Ora. Nella testa e nelle orecchie di giovani come Mario, laureato creativo e intraprendente, che ha lasciato la sua Calabria per cercare lavoro. Sono le stesse parole che hanno spinto Caterina a lasciare la Piana di Gioia Tauro ed emigrare negli Stati Uniti. Le stesse parole che hanno spinto Rebecca e Marta a lasciare Nardodipace e il loro sogno imprenditoriale.
Il verbo di questa Terra è «io non posso», come dicono i ragazzi di Locri con gli occhi incupiti dalla disperazione. Questa è la terra dove si ammazzano ragazzi di 18 anni come bestie, come nelle guerre efferate e lontane che guardiamo in televisione, o si spara, con i kalashnikov, in un campetto di calcio e un ragazzino, che perde la vita, viene considerato un “effetto collaterale” della quotidiana guerra calabrese. Questa è la Terra dove si muore di malasanità anche per una semplice operazione alle tonsille…
Questa è la Terra dove si arresta un capobastone, latitante, in un ospedale pubblico. E’ la Calabria della malapolitica, degli onorevoli e degli assessori che stringono mani sbagliate, che chiedono voti a chi non dovrebbero neppure rivolgere la parola. I politici calabresi. Straordinari nel loro senso di impunità. Prendono voti che portano ben impresso il segno del potere dei boss, fanno affari con i capi di cosche potentissime.
E poi, nei comizi, nelle comparsate televisive, nelle compiacenti interviste, pronunciano parole di fuoco contro “il male assoluto”. La mafia. C’era l’onorevole consigliere regionale, assessore, padrone di un suo personale pacchetto di voti che di volta in volta metteva a disposizione della destra o della sinistra. Quando parlava di affari con i referenti delle cosche dell’Aspromonte si faceva consegnare i cellulari, li dava agli autisti e li faceva portare in giro per la Calabria. «Così a quei cornuti che ci intercettano li fottiamo». Proprio come un consumato gangster. E l’altro, anche lui consigliere regionale, che si faceva umiliare dal boss del suo paese. «Prendetelo a mazzate, ma portatemelo qui», ordinò un giorno il capobastone. L’onorevole, sudato, tremante, stava seduto sulla punta di un divano nel salotto del boss. Che gli rideva in faccia in modo sguaiato, gli ricordava che se lui era seduto su una poltrona del Consiglio, a Reggio, era merito suo.
E per fargli capire chi comandava, gli tirava le molliche di pane in faccia. E quello, l’onorevole, sudato e tremante, accennava anche ad un sorriso. Stava al gioco. Gira la Calabria dei grandi centri commerciali spuntati ovunque. Sulla Jonica e sulla Tirrenica. Come funghi. A Catanzaro, a Cosenza, nella Piana di Gioia Tauro, a Siderno come a Locri, anche i ragazzini sanno abbinare ad ogni ricco ipermercato o sfavillante outlet, il nome di un boss, di una cosca, di una ’ndrina, di una famiglia. Girano gli onorevoli eletti a Roma con il consenso dei “locali” di ’ndrangheta. A Montecitorio si impegneranno per lo sviluppo della loro Terra, qualcuno andrà anche nella Commissione parlamentare antimafia e apporrà la sua firma a documenti che stigmatizzeranno, e in modo durissimo, l’arroganza e la ferocia della ’ndrangheta. Parterciperà a convegni e manifestazioni antimafia, se necessario, anche ai funerali di qualche vittima innocente.
Gira anche la gente di Calabria. Indifferente. Indifferente, assuefatta. Dove essere dalla parte dello Stato e della legalità è un difetto e non un pregio. Dove un giovane carabiniere che non sa vivere lontano dalla sua Terra, ritorna e ingoia lacrime amare a vedere suo figlio messo da parte dai compagni di scuola, “schifato” perché è il figlio dello sbirro. «Il ritorno in Calabria è stato uno choc. Per gli altri non sei più il ragazzo che anni prima era partito al Nord a cercare lavoro. Sei uno sbirro, e senza virgolette. Sbirro e cornuto. Un traditore.
Gli amici, quelli del paese, con i quali sei cresciuto, hai giocato, sei andato a scuola, ti sei emozionato per una donna per la prima volta, ti evitano». Lacrime amare per chi ama questa Terra e la vede piegarsi al volere del malaffare che con i soldi e la violenza compra, investe, distrugge, piega persone e terre. Questa è la Terra dove un sindaco che cerca di applicare la Legge viene picchiato e si ritrova davanti il suo vecchio compagno di lotte sindacali. Dove la criminalità organizzata, la ‘ndrangheta, lascia le briciole del suo potere finanziario che ormai viaggia sulle piazze di Milano, Francoforte, Toronto e Sidney: «La cosa che mi colpisce è come mai i calabresi, quelli che lavorano per la ’ndrangheta, non si rendano conto che i vari Criaco, Mazzaferro, Pelle, Nirta, sono la punta dell’iceberg, o il vertice della piramide se ti pare. Gli altri, quelli che stanno sotto, mangiano pane e cipolla. Loro, i capi, iscrivono i figli nelle migliori università italiane e straniere e i picciotti fanno la fame. Mi fa rabbia sentire ancora oggi che questi mammasantissima fanno discorsi rivolti al popolo, l’onore, la famiglia, il lavoro. Fumo negli occhi. La verità è che sono degli egoisti, pensano solo a loro stessi, alle loro fortune, alla ricchezza della famiglia».
E’ l’accumulazione di capitali la vera, antichissima, religione della ‘ndrangheta. I figli dei figli dei boss frequentano Mediobanca e le grandi finaziarie internazionali, costruiscono alberghi negli Emirati Arabi, una mafia che non si riuscirà forse (usiamolo questo avverbio) mai a colpire. Perché per noi domani è semplicemente domani, per loro è già oggi.
Una Terra dove la ‘ndrangheta ha messo la pistola sul tavolo ed ha cambiato radicalmente le regole del gioco politico. E’ chiaro che “chi tocca i fili” muore. Senza se e senza ma. La terra del “Ponte sullo Stretto” che è come il miraggio di un’oasi per chi ha sete e da 30 anni vive il disagio, per dirlo con un eufemismo, della Sa-Rc un’incompiuta, un incubo per qualsiasi automobilista, in qualsiasi stagione ed a qualsiasi ora. Chissà perché i politici locali, di qualsiasi appartenenza e colore, non si battono per avere servizi migliori e per evitare una “grande opera” che a tutto servirà meno che a rendere migliore la vita dei calabresi.
La terra del “io non posso” studiare, lavorare, vivere semplicemente perché pochi uomini decidono la vita e la morte di un intero territorio.
La Terra del “io non posso” dove un gruppo di ragazzi, capeggiato da una battagliera “chioccia”, ha scelto la strada come luogo di lavoro con l’obiettivo di essere “visibili” lì dove tutti vogliono vivere come invisibili per evitare di scontrarsi con i poteri forti e perché chi trova un protettore trova un amico sicuro. La Malacalabria che si scontra con la faccia pulita e sana di Angela che dice «questa è la mia terra, ho paura, ma non me ne vado».