Le stragi, la “trattativa”, le carte di Riina: tutto passa per Matteo Messina Denaro, il capo mafia pupillo dei corleonesi e amico dei politici

Lo Speciale dell'Espresso su Matteo Messina Denaro
Le carte portate via dai mafiosi nel 1993 dalla villa-covo di Palermo dove si nascondeva il capo mafia corleonese Totò Riina? «Sono tra le mani del boss latitante Matteo Messina Denaro!». Lo dice il pentito di Caccamo, Nino Giuffrè, braccio destro di Bernardo Provenzano.
In quel verbale c’è la spiegazione perchè Trapani è lo zoccolo duro di Cosa Nostra: «Allo stato attuale Trapani e in particolare il paese di Castellammare rappresentano una delle zone più forti della mafia perché punto di riferimento non solo di traffici normali, come droga e armi, ma anche luogo dove si incontrano alcune componenti che girano attorno alla mafia. È un punto di incontro della massoneria, ma anche dei servizi segreti deviati».
Secondo Giuffrè fu Leoluca Bagarella ad affidare a Matteo Messina Denaro il più importante «archivio» della mafia siciliana, quello che fu portato in tutta fretta dalla casa covo di Totò Riina: «Messina Denaro era il “gioiello di Riina”, è per questo che lui il depositario del suo archivio». Carte usate in maniera precisa. Giuffrè infatti pone Messina Denaro al centro della «trattativa» con lo Stato, nel 1993, a suon di bombe, ma non solo: «Voleva destabilizzare lo Stato cercando di costringere le istituzioni a scendere a patti». E se la strategia stragista è stata interrotta significa che qualche «porta», di quelle che contano, della politica e delle istituzioni, alla fine si è aperta.
Dalle indagini in corso alla Procura di Caltanissetta poi sul possibile filo che lega la mafia, le stragi e la politica, emerge un verbale del pentito di Alcamo, Peppe Ferro, la conferma del ruolo in questi ambiti «giocato» dalle cosche locali. Secondo il racconto di Ferro, ma in questo caso si tratta di conferme per gli inquirenti, la strategia (fatta di bombe) di Cosa Nostra condotta fino al 1993 si interruppe alla vigilia delle elezioni politiche del 1994.
Ferro racconta di essersi rivolto a Bagarella e Messina Denaro, esternò che gli attentati non pagavano, perchè facevano innalzare l’azione punitiva dello Stato, e non raccoglieva più alcun sostegno nella società civile. Messina Denaro dopo gli mandò a dire: «Zu Pe’, sa che cosa penso? a vio sta cosa». Era l’assenso a fermare le stragi. Perchè era cominciata la trattativa con la politica.
E la politica resta al centro del pensiero aggiornato di Messina Denaro che salta fuori da recenti «pizzini» finiti intercettati dagli investigatori che gli danno la «caccia» per mettere fine alla sua latitanza che perdura dal 1993.
Anche il super boss belicino, scrivendo dei politici di oggi, parla di quelli di un tempo come Craxi, rimpiangendo i tempi in cui questi imperava tanto da lamentarsi «della fine che gli hanno fatto fare». Mostra poi di pensarla sulla Giustizia come certi politici di oggi: a suo dire è «la magistratura a sovvertire ogni ordine». Sembra proprio di sentire parlare quel qualcuno che attacca l’antimafia preferendo dare dell’eroe a qualche stalliere, mafioso conclamato.