Centomila euro al giorno: tanto costa ripulire Palermo
(Tratto da L’Unità – 4 giugno 2009 – pubblicato nell’edizione Nazionale, Sezione “Politica”)
Centomila euro al giorno. Per dieci: un milione tondo tondo. Tanto costerà ai contribuenti italiani e palermitani l’emergenza rifiuti. Soldi che andranno in fumo per pagare i bagordi di Dubai del senatore Enzo Galioto e dei suoi accoliti.
Quelle mangiate nei ristoranti più esclusivi a base di aragoste innaffiate da preziosissimi vini, le nottate allegre nei club, le stanze superlussuose in alberghi a cinque stelle. E le centinaia di assunzioni, tutte alla vigilia delle elezioni, gli appalti a ditte esterne (alcune in fortissimo «odore») finanche per la pulizia degli uffici . Insomma, la trasformazione dell’Amia (l’azienda per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti di Palermo) nel regno di bengodi e nel più costoso comitato elettorale di Forza Italia.
«’A Munnizza» ancora domina a Palermo, ammorba l’aria e produce zecche. Quelle che hanno invaso una scuola elementare di periferia, mensa compresa. L’esercito è arrivato ma il lavoro è solo all’inizio. Cinquemila tonnellate di munnizza sono ancora per terra. Ma sull’emergenza rifiuti si sta anche combattendo una sporca battaglia politica all’interno del centrodestra. Con gli uomini di Gianfranco Micciché, forzista della prima ora da tempo caduto in disgrazia, che attaccano il sindaco della città, il sempre sorridente Diego Cammarata. Una volta era un suo pupillo, ora che è passato nella corrente di Renato Schifani, un nemico.
E con gli uomini del sindaco e del senatore Galioto che fanno circolare la voce di un «disinteresse» del governatore Lombardo. Il quale Lombardo ha rotto i ponti con gli uomini di Berlusconi: ha cacciato gli assessori regionali del Pdl dalla sua giunta e li ha sostituiti con uomini suoi. «La Regione ha promesso 40 autocompattatori per la raccolta in città, speriamo che mantengano gli impegni, perché finora sono arrivati solo un minicompattatore e due pale cingolate», dice sconsolato Marcello Caruso, il nuovo presidente dell’Amia. Nell’attesa che Lombardo, Cammarata, Micciché e compagnia si mettano d’accordo, la città è esasperata. Ieri davanti al Comune c’erano i «cianciaioli», i raccoglitori di ferro dai rifiuti. «Noi siamo gli unici che da secoli facciamo la differenziata separando la plastica e il ferro dai rifiuti e loro ci impediscono di lavorare. Ci hanno sequestrato tutti i mezzi.
Loro mangiavano a Dubai e noi siamo per strada». La tensione è altissima, i cassonetti bruciati sono saliti a quota seicento e nei quartieri popolari i netturbini sono stati aggrediti dalla gente. «Qui non ci vuole l’esercito, ma i carabinieri. Vadano ad arrestare Galioto, il responsabile del dissesto e dello sfascio», urla nei comizi Giusto Catania, eurodeputato di Rifondazione Comunista. Ma, al di là dell’emergenza palermitana, c’è la situazione più generale del trattamento dei rifiuti in Sicilia che rischia di trasformare l’Isola in una nuova Campania.
Qui l’emergenza dura dal 1999, l’obiettivo della raccolta differenziata (35%) è lontanissimo, dei quattro inceneritori che dovevano essere costruiti neppure l’ombra se non quella della mafia. Tutto (il 90% dei rifiuti) finisce nelle 47 discariche attive. Anche qui c’è un Commissariato straordinario all’emergenza, ma ha «organici gonfiati» e «nell’attribuzione degli incarichi c’è totale assenza di pubblicità, concorrenza e trasparenza, tutti avvenuti intuitu personae», mette nero su bianco la Corte dei Conti.
Proprio come in Campania.