Il faccendiere del boss e Dell’Utri: «Prepariamoci per le elezioni»

(Tratto da L’Unità – 24 luglio 2008 – pubblicato nell’edizione Nazionale, Sezione “Politica”)

Marcello dell'Utri

Marcello Dell'Utri (adnkronos)

Quando a metà aprile scoppiò lo scandalo, Marcello Dell’Utri negò tutto e parlò di «polverone preelettortale». Lui in contatto con Aldo Micciché, un affarista in fortissimo odore di mafia inseguito da condanne per 25 anni e riparato in Venezuela? «Non lo conosco personalmente, ma l’ho sentito per telefono e l’ho messo in contatto con Barbara Contini».
Bugie, grosse quanto i faldoni dell’inchiesta della direzione antimafia di Reggio Calabria (firmata dal procuratore Pignatone e dai pm Boemi, Pennisi, Prestipino, Di Palma e Maria Luisa Miranda) che ieri ha portato all’emissione di 21 ordinanze di arresto. Una fotografia drammatica degli affari delle cosche della Piana di Gioia Tauro, i Piromalli e i Molé, alleati da «cent’anni» ma ora in lotta tra di loro. Hanno in mano tutto i Piromalli, la politica, gli affari del Porto e i business internazionali.

Il loro «consigliori» è proprio Aldo Micciché, 72 anni, ex segretario della Dc di Reggio negli anni Ottanta, poi consigliere provinciale a Roma, bancarottiere e truffatore. Per i pm, «è il simbolo del perfetto strumento a disposizione della cosca mafiosa. In teoria dovrebbe essere persona che qualunque altra timorata delle leggi dovrebbe tenere alla larga.

Ed, invece, alla luce del tessuto relazionale del Micciché , nella realtà è proprio il contrario. Egli è il punto di riferimento di tutta una serie di personaggi che, consapevoli o meno, divengono funzionali allo scopo principale che l’indagato si prefigge: quello di incrementare la forza e la efficacia del sodalizio di cui fa parte integrante». Il senatore Dell’Utri fa parte a pieno titolo di questa «serie di personaggi». Conosce eccome Micciché, al punto di intrecciare affari petroliferi con lui e di affidargli addirittura le sorti di suo figlio Marco in procinto di trasferirsi in Venezuela.

Il 12 dicembre 2007, 28 minuti dopo le nove di sera, Dell’Utri chiama Micciché in Venezuela. Il vecchio Aldo gli dice che presto ci saranno le elezioni, «ci dobbiamo preparare». Poi gli chiede una e-mail di Berlusconi, «gli devo mandare delle cose della gente di là, importanti per lui». «Tra poco arriva da te mio figlio Marco», dice Dell’Utri. Micciché: «Mandami le solite riviste. Ho ancora tre giorni di tempo e metterò delle azioni a nome di tuo figlio. Per quanto riguarda la faccenda del petrolio ti ho mandato tutto via mail». Poi i due parlano di politica, della collocazione dell’onorevole Armando Veneto (avvocato storico del «casato» dei Piromalli, e deputato con più partiti), forse c’è una trattativa con lui per le prossime elezioni. Micciché ne è sicuro e dice che lui può garantire 40mila voti in tutta la provincia di Reggio. «Questo è importante», commenta Dell’Utri soddisfatto. Micciché replica che «quelli che gli possono dare la copertura completa, le cose nostre sono segrete, ricordatelo, sono le persone che tu hai ricevuto ( Lorenzo e Gioacchino Arcidiaco ndr), mi hai capito o no?…che erano contro lui». Ma «si sono appaciati», dice Dell’Utri. «No!… quali si sono abbracciati, si sono abbracciati il cazzo…».

Finisce, per il momento, il discorso politico, e continua quello familiare. Micciché è raggiante per l’arrivo del figlio del senatore bibliofilo: «Si deve mettere a lavorare presto che stiamo facendo cose serie e non dobbiamo perdere di vista il mercato dell’America latina». Ma cosa volevano i Piromalli da Dell’Utri? Esattamente quello che Micciché aveva chiesto ai suoi contatti di prima: l’allora Guardasigilli Mastella e altri esponenti politici (Tassone, Udc): la cancellazione del 41 bis, il carcere duro, per Giuseppe Piromalli, detenuto a Tolmezzo, e una sorta di salvacondotto per il figlio Antonio, attraverso la concessione di un consolato onorario («russo vietnamita, cinese, che cazzo sia», dice uno degli intercettati).

Per questo da Dell’Utri volerà da Gioacchino Arcidiaco, uno dei componenti della cosca, già arrestato a gennaio per spaccio di droga e per detenzione abusiva di armi. Telefonerà e incontrerà più volte il senatore, «preparato» dal fido consigliori Micciché. «Gli devi dire che noi possiamo garantire Calabria e Sicilia (i Piromalli hanno buoni rapporti con i Santapaola di Catania e i mafosi di Brancaccio, ndr): fagli capire che… il Porto di Gioia Tauro lo abbiamo fatto noi. Fagli capire che in Aspromonte e tutto quello che succede la sopra è successo tramite noi, hai capito?». Gioacchino ha capito ed è contento quando il faccendiere gli spiega che «Dell’Utri è l’anticamera di Berlusconi». E poi, «i comunisti» e quel Veltroni che nei comizi va dicendo che non vuole i voti dei mafiosi. «Hai capito? Questi hanno respinto ogni cosa». La mafia, notano i pm, «percepisce come una sventura il rifiuto dei propri voti da parte di una formazione politica», mentre altri partiti «entrati in contatto con loro, non solo non hanno rifiutato, ma in qualche caso hanno accettato tale tipo di appoggio, e li hanno sollecitati ad attivarsi».

E allora vai con i «Circoli della libertà». «Bisogna incrementarli al massimo in modo tale da riuscire a fare, grazie alla riconoscenza del Senatore, ciò che loro intendono ottenere», è la linea di Micciché. Dell’Utri vuole voti e li avrà pure a Milano. «Fagli capire a Marcello che lì c’è una torma di calabresi pronti a votarlo e tu vai lì a nome di questi». I Piromalli controllano l’ortomercato a Milano. Cercavano appoggi i Piromalli, allarmati dalla guerra di mafia aperta con la storica cosca alleata dei Molé, con Pino al carcere duro le sorti della famiglia sono nelle mani del giovane Antonio, «un mafioso moderno», ma forse non in grado di reggere uno scontro durissimo. La cosca ha forti appoggi istituzionali, Micciché dal Venezuela, avvisato da due magistrati calabresi in pensione, sa di microspie messe nelle macchine dei suoi compari, parla di un membro del Csm amico suo, ma la guerra è dura. Quando il primo febbraio uccidono Rocco, l’ultimo del Molé a piede libero, Totò Piromalli pensa di trasferirsi in Venezuela. Micciché chiama anche Clemente Mastella, trova occupato, il Guardasigilli lo richiama. «Clemente mio, meno male… sto cercando di fare il possibile per aiutarti, vediamo se recuperiamo sul Lazio e su Roma…».

Ma la lettura della trascrizione dell’intercettazione, scrivono i pm, «lascia intendere un certo imbarazzo del Mastella nell’apprendere chi sia il suo interlocutore. Certamente egli riconosce il suo interlocutore e, per la verità, proprio per questo è da ritenere con sicurezza che tende a chiudere al più presto la conversazione. La ragione di tale condotta è facilmente intuibile: egli, ormai al centro di una nota vicenda giudiziaria che lo vede iscritto nel registro degli indagati della Procura della Repubblica di Catanzaro, teme le conversazioni telefoniche che possano essere compromettenti».

Il senatore Dell’Utri non è indagato, è persona informata sui fatti che però non ha ancora trovato il tempo (impegni parlamentari) di spiegare ai pm i suoi rapporti con Micciché e chiarire i motivi dell’incontro, dato per certo dai pm, con Antonio Piromalli. Ora le carte dell’inchiesta che lo riguardano sono state trasferite a Palermo e il senatore sarà nuovamente sentito appena le Camere chiuderanno per le ferie. Questa volta avrà il tempo.