Ma l’Italia? Malitalia
(Tratto da Calabria Ora – di Michele Giacomantonio)
Ci sono libri che andrebbero letti nei licei, pagine pronunciate davanti ad assemblee di studenti in silenzio, perché certe cose levano il chiacchiericcio delle parole e mettono in moto i pensieri.
Per esempio l’ultimo lavoro dei giornalisti Laura Aprati ed Enrico Fierro, dal titolo “Malitalia, storie di mafiosi, eroi e cacciatori”, edito da Rubbettino in una ricercata veste grafica di rigoroso bianco e nero, invero una bella eccezione nel panorama dell’editoria locale. Una inchiesta sospesa tra l’indagine giornalistica e l’osservazione sociologica, un racconto che non viene proposto usando lo sguardo da lontano, ma da dentro i luoghi e i fatti perché, come dice Fierro, se certe storie le vuoi raccontare, «ci devi andare per capire».
Quello dei due giornalisti è un libro scritto tutto da dentro questi luoghi maledetti, per narrare – come suggerisce il titolo – i mafiosi, ma pure gli eroi che contro di loro si battono troppo spesso disarmati e i cacciatori, cioè quelli che implacabilmente e qualche volta con un poco di fortuna, stanno in trincea – vera fatta di fango, sudore e sangue – contro il potere del male. Il libro attraversa il male intero dell’Italia, la Camorra, la Mafia, passando per la più potente delle organizzazioni criminali, la ’ndrangheta. Per una qualche ragione, forse casuale, la parte che riguarda la Calabria occupa la parte centrale del libro, il cuore della narrazione. Dalle pagine di Fierro e Aprati esce una terra crudele e vinta, che però continua, come un destino ineludibile, a cercare il riscatto e la speranza.
Come la giovane e coraggiosa giornalista Angela Corica che proprio dalle pagine di CO combatte la sua battaglia difficile contro i boss di Polistena. Nel 2008 un suo articolo ha fatto aprire una indagine della magistratura sullo smaltimento dei rifiuti (che insieme alla sanità è tra i maggiori affari della criminalità) e tanto per ribadire che il buon giornalismo può far paura ai capibastone, ecco che una notte sconosciuti (?) le sparano cinque colpi di pistola contro la macchina. La terra che Angela racconta sulle pagine di questo giornale è terra di crocevia di affari, di scambi e favori, di campagne elettorali che si vincono o si perdono anche in base a come decidono i boss.
Angela è in mezzo a tutto questo e pur spaventata non fa un passo indietro, perché le donne calabresi sono così, forti e determinate. Ma come scrive Laura Aprati, «qualcuna sta dalla parte sbagliata». Un capitolo intero infatti è dedicato alle donne calabresi e quelle di ‘ndrangheta sono raccontate con una sensibilità etnografica, mentre s’arrampicano «come le capre su per le montagne,agili e in silenzio, mentre fiutano l’aria come gatti».
Sembra iconografia scontata e invece è l’istantanea di donne «votate al silenzio, ma che sono capaci di dirigere e determinare le vite dei congiunti». I brividi vengono quando si scopre che tante di loro sono maestre, consapevoli portatrici di valori mostruosi alle nuove generazioni, spesso protagoniste di riti tribali nella periferia di una Europa del XXI secolo, non meno capaci dei loro uomini di gestire il traffico d’armi tra la Calabria e i paesi dell’Est.
L’ultima parte delle pagine calabresi è dedicata ai Cacciatori, corpo speciale dei carabinieri che nelle imperscrutabili montagne dell’Aspromonte danno la caccia ai latitanti.Rappresentano a buon diritto lo Stato contro la criminalità, ma Fierro scrive che quella dello Stato contro la mafia è una favoletta. Perché mentre i Cacciatori stanno in agguato, girano invisibili alla ricerca di altri invisibili, l’altra parte dello Stato, la malapolitica, gira in modo diverso. Ci sono troppi assessori e onorevoli che «stringono mani sbagliate, che chiedono voti a chi non dovrebbero, prendono voti che portano ben impresso il segno del potere dei boss». Così, mentre a Montecitorio si firmano documenti che «stigmatizzano in modo durissimo l’arroganza della ferocia mafiosa», in molta parte della Calabria sorgono come funghi «centri commerciali a cui anche i ragazzini sanno abbinare il nome di qualche cosca o di una ‘ndrina».
I Cacciatori intanto cercano e spesso trovano. Bunker in mezzo ai paesi, perché i boss non lasciano mai il territorio, nemmeno per scappare e fa impressione sapere che per combattere la ’ndrangheta abbiano chiamato un corpo speciale, addestrato alle tecniche di combattimento più audaci.
L’Aspromonte come l’Afganistan, le strade del quartiere Archi di Reggio come Bagdad. Se ne vanno in giro con i loro zaini, i fucili di precisione, la loro pazienza e umanità, «montagna dopo montagna, alla ricerca di uomini che vivono come lupi».
Poi ci sono gli altri, quelli «vestiti da agnelli, che hanno uffici a Francoforte e Sidney, riveriti nelle piazze finanziare più importanti». Fierro dice che questi uomini non li cerca nessuno e che il nostro domani è nelle loro mani.
Un libro che si legge tutto d’un fiato. Un documentario senza altezzosità.Una cronaca pura e cruda.
Un libro intrigante, attuale e soprattutto completo
un libro anzi un album per raccontare la vita quotidiana di una guerra moderna e silenziosa
per noi poliziotti è bello sapere che qualcuno si interessa alla nostra categoria e al lavoro che svolgiamo, spesso dimenticato